Gli obblighi di un amministratore di una GmbH tedesca: obbligo di presentazione della richiesta di apertura di una procedura fallimentare

Nella gestione di una società ci si augura sempre di poter presentare bilanci positivi e di garantire un produttivo andamento dell’attività di impresa, tuttavia non di rado si verifica che la società costituita all’estero abbia difficoltà ad inserirsi nel mercato straniero e presenti nei primi anni di gestione valori negativi. In questi casi è dovuta particolare attenzione da parte degli amministratori. Anche qualora questi siano cittadini italiani e magari poco conoscano la lingua tedesca ciò non esime loro dall’osservanza delle norme di legge che governano la vita sociale ed in particolare dall’ottemperanza degli obblighi cui gli amministratori sono tenuti in caso di stato di crisi della società.

Gli amministratori di una GmbH sono tenuti regolarmente a controllare lo stato economico della società e a non sottovalutare gli indizi di crisi della stessa, solo in tal modo è possibile adottare le misure di ristrutturazione più adeguate che permettano all’azienda di risanarsi e tornare in attivo, ma in alcuni casi può essere tutto troppo tardi e lo stato di crisi essere irreversibile sì da rendere necessaria la presentazione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza sul patrimonio della società. Accanto a tutta una serie di possibili condotte che gli amministratori debbano seguire in caso di crisi della società (vedi blog di riferimento – Risanamento delle imprese in crisi) intendiamo qui fare riferimento in particolare all’obbligo di presentazione della domanda di fallimento ed alle conseguenze che gravino sugli amministratori in caso di ritardo e di inattività. Intanto occorre che l’amministratore verifichi che la società versi in uno stato di insolvenza, ciò nel diritto tedesco è previsto nel caso in cui la società sia zahlungsunfähig, cioè non è in grado di adempiere alle obbligazioni scadute (indice di ciò è solitamente la cessazione dei pagamenti), ma anche quando esista un’insolvenza incombente (=drohende Zahlungsunfähigkeit), vale a dire quando è prevedibile che la società debitrice non sarà in grado di adempiere le obbligazioni cui si è vincolata alla loro scadenza. In ultimo la società si considera insolvente anche qualora sussista uno sbilancio patrimoniale o eccessivo indebitamento (=Überschuldung). In particolare ciò si verifica quando il patrimonio della società non è più in grado di coprire le obbligazioni esistenti. Tuttavia tale valutazione va effettuata anche prendendo in considerazione le possibili misure di ristrutturazione o le eventuali iniezioni di capitale che possano garantire la continuazione dell’attività di impresa. In alcuni casi, infatti, grazie a tali interventi è ragionevole prevedere e prognosticare che la società possa superare l’empasse in cui si trova e pertanto non sia necessariamente da considerare insolvente. In ogni caso è assolutamente da consigliare all’amministratore di una società che dia segni di decozione di agire rapidamente e di valutare le possibilità di ristabilire la liquidità dell’impresa attraverso un eventuale piano su misura. Nel caso in cui non ci sia un piano b l’amministratore è tenuto per legge (§ 64 InsO) in caso di insolvenza a presentare, immediatamente ed al più tardi entro tre settimane dal momento in cui ne ha preso conoscenza, la richiesta di apertura di una procedura di insolvenza presso il Tribunale fallimentare competente, in base alla sede legale della società. Tale termine perentorio potrà rimanere inosservato solo nel caso in cui nel frangente l’amministratore si adoperi per la realizzazione di tentativi di risanamento dell’azienda che permettano a questa di superare lo stato di insolvenza. Attenzione: il ritardo nella presentazione di una tale domanda conduce ad una responsabilità degli amministratori non solo nei confronti della società ma anche nei confronti dei creditori sociali (responsabilità sul piano civile). Tale omissione (=Insolvenzverschleppung) inoltre ha gravi conseguenze personali per l’amministratore perché integra anche gli estremi di una fattispecie penale che comporta una sanzione pecuniaria o la pena della reclusione fino a tre anni, purchè si dimostri che l’amministratore ha agito intenzionalmente o quanto meno per colpa grave. Si ha una tale colpa anche solo quando l’amministratore – di fronte a chiari indizi della crisi dell’impresa – non abbia posto in essere una valutazione consapevole e fondata della possibilità di prosecuzione dell’impresa.

Lo studio A&R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste offrendovi consulenza su gli obblighi cui è tenuto un’amministratore in caso di crisi  e le conseguenze giuridiche del proprio operato e grazie alla rete dei propri partner esterni Vi assite nella corretta gestione di queste problematiche.

Scioglimento e liquidazione di una società tedesca (GmbH)

A volte accade che il business promosso in Germania attraverso la costituzione di una start up non abbia prodotto i risultati desiderati o che si decida di non continuare la propria attività attraverso la forma della GmbH o invece che il propri obiettivi siano stati pienamente realizzati e che si voglia abbondonare il mercato. In tutti questi casi si pone la necessità di sciogliere e liquidare la società GmbH precedentemente costituita al fine di procedere alla sua cancellazione dal registro delle imprese. Qui alcune indicazioni generali sulla liquidazione della GmbH.   

1.Delibera di scioglimento

Al fine di procedere alla liquidazione, al termine della quale è possibile cancellare la società dal registro delle imprese, occorre in prima battuta scogliere la società. Ciò avviene in linea generale attraverso una delibera assembleare votata a maggioranza dei ¾ dei soci salvo che lo statuto disponga diversamente. Dal momento dello scioglimento la denominazione deve prevedere l´indicazione che la società si trova in liquidazione, ad esempio: “Alfa GmbH in liquidazione” o “Alfa GmbH i.L.” Nella delibera di scioglimento deve inoltre essere disposto in quale luogo e presso quale soggetto i libri e la documentazione sociale dovrà essere conservata a seguito della liquidazione. Il § 60 legge sulle srl tedesche (GmbHG) regola i consueti motivi di scioglimento. Un ulteriore causa di scioglimento della società è l´apertura di una procedura fallimentare o il rigetto dell´apertura di una procedura fallimentare a causa dell´insufficienza della massa. Con lo scioglimento della società, cessano i poteri di rappresentanza dell´amministratore. A seguito della delibera di scioglimento, si deve procedere agli adempimenti relativi alla liquidazione della società prima di potere ritenere cessata la società e cancellare la stessa dal registro delle imprese.

2.Iscrizione della delibera di scioglimento e della nomina del liquidatore al registro delle imprese

La delibera di scioglimento deve essere depositata nella forma dell´atto notarile per la richiesta di iscrizione nel registro delle imprese. Contestualmente l´assemblea dei soci nomina il liquidatore. Nella prassi viene di frequente nominato liquidatore l´amministratore in carica prima dello scioglimento della società. Il liquidatore, prima di assumere l´incarico, deve giurare che nessun motivo di natura penale, professionale, commerciale osti alla sua nomina.

3.Compiti del liquidatore

La liquidazione della GmbH ha come finalità la distribuzione del patrimonio sociale ai soci. Per la realizzazione di tale scopo, i liquidatori assumono la rappresentanza della società nei confronti dei terzi. I più importanti obblighi dei liquidatori sono regolati dai §§ 70-73 della legge sulle srl tedesche (GmbHG). Compito del liquidatore è terminare i negozi pendenti e adempiere alle obbligazioni della società. Unitamente alla delibera di liquidazione deve essere consegnato il bilancio di liquidazione con una relazione illustrativa. Di particolare importanza è il dovere del liquidatore di effettuare una comunicazione ai creditori (Gläubigeraufruf) relativa allo svolgimento della liquidazione della società. A tal fine deve essere pubblicato un avviso nel bollettino federale. Dalla pubblicazione inizia a decorrere un periodo di tempo di un anno (Sperrjahr) entro il quale i creditori devono denunciare alla società il proprio credito e prima dello spirare del quale i liquidatori non possono procedere a ripartizioni dell’attivo.

4.Ripartizione del patrimonio ai soci

La ripartizione può avvenire solo a seguito del decorso dello “Sperrjahr” e se tutti i negozi sono stati terminati. A seguito del riparto ai soci, la liquidazione può dirsi conclusa.

5.Cessazione e cancellazione

A seguito della chiusura del procedimento di liquidazione, il liquidatore deve richiedere l´iscrizione al registro delle imprese della cancellazione della società. A seguito di tale richiesta l´incarico di liquidatore viene meno. Dopo l´esame da parte del tribunale del registro della richiesta e della regolarità della procedura, la società viene cancellata dal registro delle imprese (vedi anche “la cancellazione dal registro delle imprese“). I libri e la documentazione della società devono essere conservati presso un socio o un terzo per i successivi dieci anni.

Lo Studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte con sede a Monaco di Baviera, Milano e Padova Vi affianca durante tutta la fase di liquidazione e Vi assiste per tutte le questioni formali inerenti. Contattateci per ulteriori informazioni.

Procedura esecutiva in caso di apertura di fallimento in Germania

Spesso accade che durante il tentativo di recuperare coattivamente crediti sospesi nei confronti di partner commerciali tedeschi si renda necessaria una procedura esecutiva e che durante il corso della stessa si apra sul patrimonio del debitore una procedura fallimentare. Cosa fare in questi casi? Quale è la sorte degli atti esecutivi compiuti?

L’apertura di una procedura di insolvenza è un elemento pubblicizzato in Germania, tuttavia la sua fase prodromica (=Eröffnungsverfahren), vale a dire la procedura di valutazione dell’apertura di un fallimento che inizia con il deposito da parte di alcuni soggetti interessati (altri creditori o lo stesso debitore) della domanda di apertura (=Antrag auf Eröffnung des Insolvenzverfahrens) non è noto ai terzi e pertanto ben si potrà verificare – per un certo periodo limitato di tempo – tale sovrapposizione di procedure. Da un lato quindi le azioni esecutive individuali e dall’altro l’azione esecutiva concorsuale. Per quanto riguarda l’arco temporale di blocco delle procedure esecutive individuali esso copre – in generale- l’intera durata della procedura concorsuale. Durante tutta la durata della procedura concorsuale opera, infatti, il divieto generale di azioni esecutive individuali ai sensi del § 89 InsO(=legge fallimentare tedesca). Da tale divieto sono colpite anche le azioni esecutive per debiti della massa (non fondati da atti del curatore) per la durata di sei mesi dall’apertura del procedimento. Sempre in generale, dopo la chiusura del procedimento i creditori concorsuali possono far valere i loro crediti residui contro il debitore senza limitazioni. Tale disposizione ha il suo limite nei casi di procedure concorsuali cui segua la procedura di esdebitazione (=Restschuldbefreiung), in tali casi chiaramente non è possibile agire in via esecutiva individuale una volta ottenuta l’esdebitazione. Unica fonte di soddisfazione per i creditori concorsuali è, in tal caso, la moneta fallimentare (vedi anche “Insinuazione credito al passivo in Germania“). Una volta verificatosi lo stato d’insolvenza del debitore e nei due o tre mesi precedenti la presentazione della domanda di apertura della procedura di fallimento ben possono essere compiuti dai singoli creditori atti esecutivi che sono in linea di massima efficaci, tuttavia occorre rilevare che questi possono essere oggetto di revocatorie da parte del curatore – una volta aperta la procedura ai sensi e nei limiti del § 131 InSO.

Aperta la procedura concorsuale è anche possibile che sia il Tribunale fallimentare a provvedere in via cautelare alla sospensione degli atti esecutivi in corso ad opera dei singoli creditori ed alla interdizione di nuovi atti esecutivi che questi vogliano promuovere relativamente ai beni della massa, con apposito provvedimento ai sensi del § 21 InsO. Tuttavia è importante sapere che con l’apertura della procedura fallimentare opera ai sensi del § 88 InsO una falcidia retroattiva (=Rückschlagsperre) per tutte le azioni esecutive anteriori all’apertura del procedimento, per cui la prelazione ottenuta da un singolo creditore concorsuale su un bene della massa fallimentare con una procedura esecutiva individuale nel mese precedente alla domanda di apertura del procedimento perde efficacia con l’apertura del procedimento stesso. Il termine di riferimento per la falcidia sarà quindi la domanda di apertura del procedimento (che nella maggior parte dei casi al momento delle azioni esecutive individuali non è nota) e non il provvedimento di apertura del fallimento. Tutti gli atti compiuti nel mese anteriore a tale data sono colpiti dall’inefficacia per legge.

Lo Studio A&R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste con le proprie sedi a Monaco di Baviera, Milano e Padova nel recupero dei Vostri crediti anche nella eventuale fase esecutiva nei confronti di partner commerciali tedeschi ed è in grado di supportarVi anche nei casi di insolvenza dei Vostri debitori e nelle necessarie relazioni con le curatele fallimentari.

Il procedimento di ingiunzione europeo

Con il procedimento di ingiunzione europeo, le istituzioni dell’Unione Europea, con il Regolamento 1896/2006/CE, hanno messo a disposizione degli Stati membri uno strumento normativo di recupero dei crediti applicabile in maniera uniforme in tutti gli Stati.

Le ingiunzioni di pagamento emesse in uno qualsiasi degli Stati EU possono liberamente circolare negli altri Stati membri senza far ricorso a un procedimento intermedio di riconoscimento, in tal modo semplificando, accelerando e riducendo i costi delle controversie di natura transfrontaliera. Il ricorso a una simile procedura rimane in ogni caso, facoltativo o alternativo rispetto alle procedure monitorie nazionali e risulta solo un ulteriore strumento a disposizione degli operatori.

Il procedimento europeo d’ingiunzione, in vigore dal dicembre 2008, limita la sua portata alle controversie transfrontaliere (= quelle in cui almeno una delle parti abbia domicilio o residenza abituale in uno stato membro, diverso da quello del giudice adito) in materia civile e commerciale, al fine di recuperare crediti pecuniari d’importo determinato, scaduti ed esigibili alla data in cui è presentata l’ingiunzione di pagamento. Ne rimangono esclusi i crediti in materia tributaria, amministrativa, in materia di famiglia e successioni, i fallimenti, concordati e altre procedure analoghe, la previdenza sociale, e i crediti derivanti da obbligazioni non contrattuali, tranne ove abbiano formato oggetto di un accordo fra le parti o vi sia stato riconoscimento del debito, o ancora se i crediti riguardano debiti liquidi risultanti da comproprietà di un bene.

Tale procedimento è strettamente standardizzato e scandito dallo scambio di moduli prestabiliti ed allegati al regolamento; non è previsto per il ricorrente l’obbligo di comparire in tribunale.

La procedura inizia con la presentazione della domanda presso l’Autorità giudiziaria competente (in Germania esiste una competenza centralizzata esclusiva per tali procedimenti presso Amtsgericht/Mahngericht Berlin-Wedding.

Per la determinazione della giurisdizione si fa sempre riferimento ai criteri generali del Regolamento CE 44/2001, pertanto di solito tale procedura s’instaura nel paese, in cui ha sede il debitore convenuto, salvo che non ricorrano altri criteri che permettano il ricorso ad un foro alternativo, facoltativo od esclusivo (es: accordo sul foro competente, luogo di adempimento della prestazione ecc). In casi di richieste di pagamento nei confronti di un soggetto privato definibile come consumatore saranno competenti solo i giudici dello stato membro in cui il convenuto è domiciliato.

In questa fase non è prevista la presentazione di prove documentali. Il ricorrente si limita a descrivere le prove su cui si fonda la sua pretesa e sottoscrive una dichiarazione di fede attestante la veridicità delle informazioni date all’Autorità giudiziaria.

L’Autorità giudiziaria esamina tale domanda per verificare se ricorrono i presupposti suddetti e se la domanda non sia manifestamente infondata e si pronuncia alternativamente per: a) un accoglimento totale o parziale o b) per una richiesta di rettifiche o c) per il rigetto della domanda.

Se il giudice accoglie la domanda (di norma e in assenza di rettifiche, entro 30 gg dalla presentazione della stessa) emette un provvedimento di ingiunzione con cui intima il debitore di pagare entro 30gg. In tale occasione lo informa che il provvedimento è stato emesso sulla base delle sole informazioni del ricorrente e che non è stata compiuta alcuna attività istruttoria e lo avvisa della facoltà di fare opposizione all’ingiunzione, inoltrando l’apposito modulo allegato.

L’ingiunzione europea di pagamento è formalmente notificata alla controparte. Il debitore può opporsi entro un termine di 30gg dall’avvenuta notifica solo presso la stessa Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento. L’opposizione non richiede motivazione.

In caso di opposizione il procedimento speciale solitamente si converte in ordinario ed è trasferito presso l’autorità giudiziaria competente nello stesso paese emittente, dove seguirà le regole processuali nazionali. In Germania esiste una normativa ad hoc per il trasferimento del procedimento alla fase ordinaria, in Italia in assenza di una tale norma sussistono diverse soluzioni giurisprudenziali per regolamentare questo passaggio. Un trasferimento a un’Autorità giuridica straniera non è possibile. Il procedimento in seguito all’opposizione si blocca, invece, qualora tale opzione sia stata espressamente scelta dal ricorrente al momento della proposizione della domanda.

In caso di mancata opposizione, il provvedimento d’ingiunzione diviene esecutivo e può direttamente essere utilizzato come apposito titolo nello stato membro in cui deve essere eseguito, senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività nello stato destinatario e senza possibilità di opposizione.

I costi di tale procedura (=Gerichtskosten) in Germania sono gli stessi previsti per il procedimento monitorio nazionale e sono da versarsi già al momento della proposizione della domanda. A tali costi sono da aggiungere le spese di notifica all’estero e le spese di traduzione. Anche gli onorari degli avvocati, salvo accordi sul compenso, sono previsti secondo tariffario forense come per la procedura monitoria interna (§ 13 RVG, Num. 3305 VV RVG) in base all’ammontare del credito fatto valere in giudizio.

Lo Studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte con sede a Monaco di Baviera, Milano e Padova Vi assiste con i propri Avvocati bilingue nella scelta delle modalità migliori e più adeguate alle Vostre esigenze imprenditoriali per il recupero del proprio credito e Vi affianca in lingua italiana in tutta la fase stragiudiziale e giudiziale in Germania.

Decreto Ingiuntivo in Germania

Quando e se ricorrere a un decreto ingiuntivo nei confronti di un debitore tedesco per il recupero di un credito sospeso, dipende da diversi fattori e deve pertanto essere una scelta oculata. Tale scelta, preceduta da una valutazione a priori dell’effettiva realizzazione del credito, deve essere finalizzata a stringere i tempi e i costi del recupero nel caso concreto.

La procedura monitoria o decreto ingiuntivo in Germania (=Mahnverfahren) è adatta al recupero di crediti in denaro nei confronti di debitori pigri nei pagamenti ed è consigliabile nei casi in cui si è sicuri che la controparte non solleverà opposizione, perché in tal caso permette di ottenere in tempi e costi contenuti un titolo esecutivo. Tale procedura, infatti, come in Italia, permette di ottenere sì un provvedimento (=Mahnbescheid) in prima battuta senza coinvolgere la controparte, ma, una volta notificato al debitore, questi ha un termine di due settimane per farne opposizione per iscritto (=Widerspruch) e senza necessarietà di fornire alcuna motivazione. In seguito a tale opposizione il procedimento monitorio si trasforma in una procedura ordinaria in contraddittorio. Pertanto in caso di probabile opposizione della controparte, l’instaurazione diretta di una procedura ordinaria può evitare la perdita di tempo e di parte dei costi.

Per poter ricorrere alla procedura ingiuntiva occorre:

  • che si tratti di crediti in denaro liquidi scaduti ed esigibili (cioè che non dipendano da una controprestazione non ancora resa) e
  • che sussista la mora del pagamento del debitore (=Zahlungsverzug).

Importante è inoltre che sia conosciuto con certezza l’indirizzo della controparte. La non notificabilità del Mahnbescheid ne fa perdere il valore.

Tribunale competente

Competente per tale procedura sono sempre le preture (=Amtsgerichten) del circondario in cui ha sede il ricorrente. Le preture competenti per la procedura monitoria sono centralizzate per ogni singolo Länder (per la Baviera – per esempio – competente è l’Amtsgericht/Mahngericht Coburg, per il Baden-Württemberg l’Amtsgericht/Mahngericht Stuttgart ecc). Nei casi di ricorrente straniero (per esempio: società italiana) nei confronti di un debitore tedesco, non avendo il ricorrente sede sociale in Germania, è stabilita una competenza centralizzata presso l’Amtsgericht/Mahngericht Berlin-Wedding. La competenza delle preture è esclusiva ed indipendente dall’entità del credito che si intende far valere. I costi processuali di tale procedura sono legati all’ammontare del credito vantato. La quasi totalità dei procedimenti ingiuntivi in Germania si svolge in modo completamente automatizzato e presso tribunali specializzati, il che determina un’effettiva celerità nello svolgimento della procedura ed un abbattimento dei costi a fronte però di una estrema standardizzazione del processo. Il ricorso per decreto ingiuntivo (=Mahnantrag) avviene per iscritto e solo secondo formulari ufficiali o per procedure online da affidare a personale specializzato. In tale fase non occorre fornire alcuna prova del credito vantato o allegare documenti giustificativi. È sufficiente l’indicazione dell’ammontare del credito principale e di eventuali accessori nonché la causa del credito. Inoltrato tale ricorso presso la pretura competente, maturano i costi processuali che andranno sin da subito versati all’Autorità giudiziaria. In seguito al pagamento ed alla verifica dei presupposti per il rilascio del provvedimento ingiuntivo, l’Amtsgericht provvederà all’emissione del Mahnbescheid che verrà notificato d’ufficio al debitore. Con la notifica di tale provvedimento si ha l’interruzione del decorso dei termini di prescrizione del credito vantato.

Opposizione al decreto ingiuntivo

Il debitore a partire da tale notifica ha un termine di due settimane per fare opposizione (=Widerspruch) per iscritto (e solitamente sulla base di formulari ufficiali prestampati allegati al Mahnbescheid e forniti alla controparte al momento della notifica). In caso di notifica all’estero, per esempio a società debitrice italiana, il termine di opposizione è innalzato ad un mese dalla notifica. L’opposizione non necessita poi, di alcuna motivazione e se tempestiva determina automaticamente il passaggio della procedura da speciale in ordinaria. La pretura competente per la procedura monitoria passerà gli atti al tribunale individuato come competente dal ricorrente e questi chiederà al ricorrente ex § 697 ZPO di fornire entro due settimane le cause giustificative del credito vantato (=Anspruchsbegründung). La parte ricorrente dovrà pertanto redigere una vera e propria citazione che verrà notificata alla controparte e determinerà l’instaurazione del processo ordinario secondo le regole del codice di procedura civile tedesco (ZPO). Qualora, invece, il debitore non sollevi alcuna opposizione tempestiva la pretura adita rilascerà – su richiesta specifica del creditore (= Antrag auf Vollstreckungsbescheid) – il titolo (=Vollstreckungsbescheid). Tale richiesta deve avvenire al più tardi entro sei mesi dalla notifica del Mahnbescheid al debitore e deve contenere la specifica indicazione se ed in che parte siano avvenuti pagamenti parziali da parte del debitore che riducano il credito complessivo. Anche tale ricorso avviene su moduli ufficiali predeterminati o secondo procedura online. Il Vollstreckungsbescheid è un titolo provvisoriamente esecutivo che viene, a sua volta, notificato d’ufficio dall’Autorità giudiziaria alla controparte debitrice. Quest’ultima ha un termine perentorio di due settimane dalla notifica per fare opposizione (=Einspruch gegen Vollstreckungsbescheid) al titolo rilasciato in toto o in parte. Anche tale opposizione deve avvenire per iscritto ma non sono previsti obblighi di forma e di motivazione. Qualora decorse le due settimane dalla notifica, la controparte non abbia sollevato alcuna opposizione, il ricorrente titolare del Vollstreckungsbescheid definitivo potrà accedere alla fase esecutiva ulteriore sul patrimonio del debitore.

Costi del decreto ingiuntivo

I costi della procedura di decreto ingiuntivo si dividono in costi processuali per l’attività dell’Autorità giudiziaria (=Gerichtskosten) e onorari per gli eventuali procuratori legali (=Rechtsanwaltsgebühren), cui sono da aggiungere spese generali e IVA. Entrambi sono commisurati al credito preteso. In caso di passaggio alla fase ordinaria solitamente tali costi sono parzialmente scomputati da quelli previsti per la fase ordinaria.

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L’effetto di un decreto ingiuntivo non opposto: La Cassazione decide su un caso italo-tedesco

Nell’ordinanza n. 8937/2024, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito un principio giurisprudenziale di particolare rilievo, precisando la portata che un decreto ingiuntivo non opposto può avere. Tale decisione sottolinea l’importanza di una corretta gestione dei procedimenti monitori, specialmente nei rapporti commerciali transfrontalieri tra Italia e Germania.

Nel caso di specie un’impresa individuale tedesca aveva richiesto un risarcimento nei confronti di una società italiana per una fornitura di carne avariata. Il danno non si limitava alla merce stessa, ma si estendeva alla contaminazione di altri prodotti presenti nei locali dell’impresa tedesca.

La società fornitrice, risultata soccombente sia in primo grado sia in appello, ha successivamente presentato ricorso per cassazione. L’argomentazione principale era che i giudici di merito avrebbero erroneamente escluso l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo emesso prima dell’avvio del processo di primo grado e non opposto dalla società tedesca. Secondo la società ricorrente, tale decreto confermava implicitamente anche la regolarità della consegna della merce e, di conseguenza, l’assenza di vizi.

La Corte di Cassazione ha accolto l’argomentazione della società fornitrice. In virtù del principio dello ius receptum, essa ha stabilito che, in presenza di due giudizi tra le medesime parti riguardanti il medesimo rapporto giuridico, l’accertamento definitivo contenuto in una decisione passata in giudicato preclude il riesame di questioni decisive comuni ad entrambi i giudizi.

La Corte ha inoltre sottolineato che tale preclusione si estende anche alle questioni che costituiscono precedenti logici essenziali alla decisione, indipendentemente dallo scopo specifico delle due cause. In particolare, il giudicato si estende sia al dedotto sia al deducibile, ovvero non solo alle questioni espressamente sollevate, ma anche a quelle che possono esserne dedotte. Questo principio vale anche nel caso in cui il giudicato si formi non a seguito di una sentenza, ma di un decreto ingiuntivo non opposto.

La decisione acquista particolare rilievo nei rapporti commerciali tra Germania e Italia. Nel caso in questione, il decreto ingiuntivo non opposto, che condannava l’acquirente tedesco al pagamento del prezzo della fornitura, ha impedito ogni successivo riesame della questione relativa all’inadempimento per vizi della merce fornita. La preclusione deriva dal fatto che l’obbligo di pagamento, riconosciuto con efficacia di giudicato, implica la presunzione di regolarità della fornitura. La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di risarcimento dell’impresa tedesca, condannandola al pagamento delle spese processuali per tutti i gradi di giudizio.

Il principio così stabilito risulta in netto contrasto con le disposizioni legislative tedesche, che prevedono esplicitamente l’effetto del giudicato unicamente sulle questioni decise e non su quelle deducibili, come espressamente previsto dal § 322 codice di procedura civile tedesco. In Germania, il giudicato è circoscritto agli elementi espressamente esaminati dalla decisione, il che lascia più margine per contestare altri aspetti del rapporto giuridico in successivi procedimenti.

La decisione della Cassazione rappresenta un monito per gli operatori economici tedeschi che intraprendono relazioni commerciali con controparti italiane. Proprio per questo motivo si evidenzia l’importanza di reagire tempestivamente a un decreto ingiuntivo per evitare che una decisione negativa possa avere effetti preclusivi non solo su un singolo aspetto del rapporto giuridico, ma anche su questioni logicamente connesse.

Esenzione IMU per immobili occupati abusivamente: importante sentenza della Corte Costituzionale

Le occupazioni abusive costituiscono un problema di grande rilevanza per molti proprietari di immobili. Una recente pronuncia della Corte Costituzionale (Sentenza n. 60 del18 aprile 2024), tuttavia, rappresenta una buona notizia per i proprietari, stabilendo in determinate circostanze l’esenzione dall’obbligo di pagamento dell’imposta municipale unica sugli immobili e offrendo, dunque, una maggiore tutela.

La gestione di un immobile di proprietà può rivelarsi complessa e problematica, specialmente in caso di occupazioni abusive. Oltre al danno derivante dall’utilizzo illegittimo della proprietà da parte di terzi, si aggiunge spesso l’onere del pagamento dell’IMU. Le lunghe tempistiche processuali e le difficoltà nelle procedure di sgombero possono comportare ingenti costi. Finora, l’obbligo di pagamento dell’IMU gravava su tutti i proprietari, indipendentemente dall’effettiva disponibilità della proprietà e anche qualora essa fosse abusivamente occupata.

La recente pronuncia introduce un’importante deroga all’obbligo di pagamento dell’IMU. La Corte Costituzionale ha infatti stabilito che i proprietari di immobili occupati debbano essere esentati dal pagamento dell’IMU per motivi costituzionali, a condizione che l’occupazione abusiva sia stata denunciata tempestivamente e formalmente alle autorità competenti. In buona sostanza, ciò significa che i proprietari che intraprendono azioni legali volte a porre fine all’occupazione abusiva non saranno soggetti a tassazione sull’immobile occupato.

Per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IMU sull’immobile oggetto di occupazione abusiva, devono verificarsi i seguenti requisiti fondamentali:

  • Tempestiva denuncia dell’occupazione alle autorità competenti;
  • Prova degli sforzi messi in atto per porre fine all’occupazione, p.es.  l’avvio di una procedura di sgombero o l’impiego di un servizio di sicurezza.

La pronuncia della Corte Costituzionale rappresenta un passo significativo nella tutela dei diritti dei proprietari, prevenendo oneri finanziari ingiustificati e rafforzando il diritto alla proprietà.

Per chi è vittima di un’occupazione abusiva, è assolutamente consigliabile rivolgersi ad un avvocato specializzato. Una consulenza legale adeguata può agevolare uno sgombero tempestivo dell’immobile ed evitare ulteriori svantaggi economici.

Offerta di lavoro per la posizione di Avvocato

Per l’ampliamento del nostroorganico della sede di Padova siamo in cerca di un Avvocato possibilmente già con esperienza consolidata, in particolare nell’ambito del diritto commerciale, civile, internazionale e societario.

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Il presente annuncio è rivolto ad entrambi i sessi, ai sensi delle leggi 903/77 e 125/91, e a persone di tutte le età e tutte le nazionalità, ai sensi dei decreti legislativi 215/03 e 216/03.

I candidati interessati possono inviare la propria candidatura al seguente indirizzo e-mail:
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Il valore del conferimento in denaro tra coniugi sposati in regime di separazione dei beni: è criterio sufficiente per determinare la sussistenza di una società di fatto tra marito e moglie?

Nella relazione tra coniugi può capitare che il marito o la moglie effettuino a favore dell’altro coniuge ovvero della sua azienda dei versamenti in denaro ovvero dei finanziamenti. Tuttavia, tale circostanza potrebbe dare adito a spiacevoli conseguenze in termini di responsabilità di alcuno dei coniugi qualora le suddette operazioni economiche fossero inquadrate come inserite in un contesto societario ove il coniuge “finanziatore” potesse essere qualificato come “socio di fatto” dell’azienda della propria moglie o del proprio marito, risultando dunque un unico soggetto di diritto.

Al fine di verificare la sussistenza di tale circostanza e, quindi, l’esistenza di una società di fatto tra coniugi, debbono sussistere alcuni requisiti ovverossia un elemento oggettivo, rappresentato dal conferimento di beni o servizi, con la formazione di un fondo comune, e di un elemento soggettivo, costituito dalla comune intenzione dei contraenti di vincolarsi e di collaborare per conseguire risultati patrimoniali comuni nell’esercizio collettivo di un’attività imprenditoriale. Tale comune intenzione costituisce il contratto sociale, senza del quale la società, non può esistere.

Stante la definizione di cui sopra, si deve procedere ad analizzare se effettivamente il conferimento di denaro da parte della moglie o del marito (elemento oggettivo) e la ratio con cui si è effettuata l’operazione economica (elemento soggettivo) siano elementi sufficienti ad indurre il Giudice a ritenere che tra i coniugi sposati in regime di separazione dei beni sussista una società di fatto.

A tal riguardo, ci si riporta ad una pronuncia della Cassazione che specifica ulteriormente il concetto di società di fatto per la cui esistenza “è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci, atteso che, nonostante l’inesistenza dell’ente, per il principio dell’apparenza del diritto, il quale tutela la buona fede dei terzi, coloro che si comportino esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse”, specificando però che in caso di consanguinei “la prova della esteriorizzazione del vincolo deve essere particolarmente rigorosa, occorrendo che essa si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla “affectio familiaris”, sicché, di regola, non è di per sé sufficiente la dimostrazione di finanziamenti e/o pagamenti ai creditori dell’impresa da parte del congiunto dell’imprenditore, costituendo questi atti neutri, spiegabili anche in chiave di solidarietà familiare” (Cass. civ. n. 16829/2013).

Dalla pronuncia riportata, si evince che un semplice finanziamento o un intervento del familiare non possa di per sé indurre a ritenere la sussistenza di una società di fatto tra congiunti ma è necessaria l’esteriorizzazione, cioè l’effettiva manifestazione esterna, del vincolo.

Con riferimento al concetto di “esternalizzazione”, cioè alla circostanza per cui il vincolo sociale sia conoscibile all’esterno, bisogna far riferimento ad alcuni indicatori afferenti alla società di fatto determinati dalla giurisprudenza. Secondo quest’ultima, affinché sussista una società di fatto è necessario che emergano nei confronti dei terzi:

– La contemplatio domini: non è necessaria la spendita del nome degli altri soci, essendo sufficiente che il comportamento di chi agisce per la società siano tali da rendere palese al terzo sia il vincolo sociale sia la riferibilità del negozio alla società;

– Finanziamenti, fideiussioni e altre garanzie quando, in concorso con gli altri elementi strutturali del rapporto di società, attuano una sistematica opera a sostegno all’impresa. Con riferimento alla sistematicità degli interventi, non bisogna far riferimento ad un criterio solamente quantitativo ben potendo essere rilevante un finanziamento sotto il profilo qualitativo ad es. finanziamenti effettuati in momenti decisivi per lo sviluppo dell’impresa o per evitarne la crisi;

– Esistenza di un fondo comune e presenza dell’affectio societatis che emerge dal vincolo di cooperazione instaurato per un interesse comune nonché dallo scopo della ripartizione degli utili. L’affectio societatis può essere desumibile anche dalla mancanza di retribuzione;

– In particolare, con riferimento alla società costituita tra i coniugi, per poter affermare l’esistenza di una società di fatto tra coniugi occorrono elementi sistematici ed univoci dai quali si possa desumere l’effettiva intenzione di gestire in comune l’attività. Inoltre, tali elementi concludenti debbono essere rigorosamente provati, nonché idonei ad escludere che l’eventuale partecipazione all’attività aziendale del coniuge sia motivata esclusivamente dall’affectio maritalis nonché a delineare in modo inequivoco la compartecipazione all’attività commerciale.

 

In conclusione, un coniuge può essere qualificato come “socio di fatto” dell’altro ed incorrere in responsabilità in relazione alle vicende che coinvolgano la società del partner nel caso in cui sussista un effettivo conferimento ovvero finanziamento al coniuge o alla sua società, nel caso in cui vi sia una volontà di partecipare alla società e l’operazione economica effettuata ne è una prova e, inoltre, deve sussistere la percezione – da parte dei terzi – che marito e moglie agiscano “in società” in modo sistematico ed univoco.

La misura della provvigione del mediatore in assenza di accordo e il criterio dell’equità

Molte delle controversie che sorgono nell’ambito della compravendita immobiliare riguardano la provvigione spettante al mediatore nonché la misura della stessa. Sul punto, il codice civile fornisce definizioni e principi che in combinato disposto con le disposizioni di legge e l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, forniscono una soluzione alle vertenze in tema di misura della provvigione.

Come noto, il mediatore è quel soggetto che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare. Come già trattato in precedenza, il diritto alla provvigione del mediatore nasce per il solo fatto di aver messo in contatto le parti per la conclusione dell’affare che viene individuata nella conclusione di un contratto (anche preliminare) (vedasi anche Provvigione per il mediatore senza conferimento di incarico?).

Qualora la controversia non verta tanto sull’an, poiché l’affare tra le parti è stato concluso, ma sul quantum, ovverossia sulla misura della provvigione, è necessario innanzitutto prendere in considerazione il dettato dell’art. 1755 c.c. e verificare se vi sia accordo tra le parti in relazione alla provvigione.

Nel caso in cui le parti (tra loro e con il mediatore) non abbiano precedentemente pattuito la misura della provvigione, sempre ai sensi dell’art. 1755 c.c. si deve far riferimento ad altri criteri sussidiari. Essi sono le tariffe professionali e gli usi. In mancanza di questi elementi, la provvigione verrà invece determinata dal Giudice secondo il criterio dell’equità. Tuttavia, prima di fare ricorso al criterio equitativo, bisogna tener conto del dettato della L. 39/1989 concernente la disciplina della professione del mediatore, ad oggi ancora in vigore.

Essa all’art. 6 prevede che “la misura delle provvigioni e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, sono determinate dalle giunte camerali, sentito il parere della commissione provinciale di cui all’art. 7 e tenendo conto degli usi locali”. All’uopo si precisa che le commissioni provinciali sono commissioni istituite in seno a ciascuna camera di commercio che si occupa delle iscrizioni nel ruolo e alla tenuta del ruolo stesso.

Ciò è supportato anche dalla giurisprudenza di merito che qualifica la norma testé rammentata come integrativa della precitata disposizione del c.p.c. In tal senso si è recentemente pronunciato un Tribunale, precisando che: “Accertata l’attività di mediazione, in base all’art. 1755 del c.c., il giudice determina la misura della provvigione, e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in mancanza di patto, tariffe personali o di usi, secondo equità. Al riguardo, l’art. 6 cpv. L. 3 febbraio 1989, n.39 recante la modifica e le integrazioni alla L. n. 253 del 1958, concernente la disciplina di professione del mediatore, dispone che in mancanza di patto, la misura e la proporzione predette sono determinate dalle giunte camerali, sentito il parere della commissione provinciale e tenendo conto degli usi locali. Tale norma, non ha nonostante detta integrazione resta sostanzialmente invariata” (Trib. Parma 28/02/2018, n.311). La natura integrativa della norma viene altresì confermata dalla dottrina (G. Cian).

Da quanto sopra esposto si evince che dati i criteri delle tariffe professionali e gli usi, il criterio dell’equità assuma un carattere del tutto residuale.

In particolare, la giurisprudenza precisa che “atteso il carattere sussidiario dei criteri previsti in ordine successivo dall’art. 1755, secondo comma c.c., questa deve essere determinata dal giudice secondo equità, se le parti non ne abbiano stabilito la misura e se non è provata l’esistenza di tariffe professionali e di usi locali” (Cass. civ. sent. n.13656/2012) ed ancora “la misura della provvigione dovuta al mediatore è determinata dal giudice solo in assenza di specifica previsione delle parti, secondo le fonti di integrazione previste in ordine successivo dall’art. 1755, comma 2, c.c.; di conseguenza, la mancata prova degli usi normativi non comporta, per ciò solo, il rigetto della domanda, dovendosi ricorrere al criterio subordinato dell’equità” (Cass. civ. sent. n.11127/2022).

Di conseguenza, il criterio dell’equità sarà utilizzatro dal Giudice per determinare l’ammontare della provvigione solamente come extrema ratio. Peraltro, al criterio dell’equità deve essere interpretato nel senso civilistico del termine. La dottrina afferma che questo è un criterio non stabilito dalla legge ma rimesso al senso di equilibrio del Giudice sulla scorta del quale il giudicante, nel decidere una controversia, è chiamato a far ricorso a criteri di convenienza e di comparazione degli interessi delle parti. Proprio per questo, l’art. 1755 c.c. non fornisce evidenza dei vari fattori che devono essere tenuti in conto in una decisione in via equitativa.

Tuttavia, come sopra già precisato, si può ritenere che una decisione secondo equità possa essere assunta tenuto conto della convenienza e della comparazione degli interessi delle parti. Nel caso della mediazione, alcuni degli interessi e/o fattori potrebbero essere costituiti da: valore dell’operazione, tipologia e quantità di attività svolta dal mediatore, nesso causale tra questa e la conclusione dell’operazione economica in esame.