Il controllo giurisdizionale della Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato.

Corte di Giustizia Europea, Grande Sezione, Sentenza 21 dicembre 2021.

Le annose questioni relative all’intersecarsi tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria hanno trovato un’ulteriore declinazione nella vicenda qui in commento, ove ci si è spinti sino ad interrogarsi circa la possibilità di riconoscere competente l’organo giurisdizionale supremo nazionale  ad esercitare un controllo di tutela giurisdizionale sulle sentenze pronunciate dal supremo organo della giustizia amministrativa nazionale, per garantire la tutela giurisdizionale effettiva richiesta dal diritto dell’Unione europea.

La vicenda in esame trae origine da una procedura di gara per un appalto pubblico da aggiudicare in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, con previsione di una soglia di sbarramento per le offerte tecniche, in cui una delle partecipanti veniva esclusa, senza neppure essere ammessa alla fase successiva antecedente l’aggiudicazione finale, poiché la sua offerta aveva ottenuto un punteggio inferiore a quello corrispondente alla predetta soglia di sbarramento.

La partecipante esclusa ricorreva dapprima al Tribunale amministrativo regionale competente, contestando, da un lato, la propria esclusione e dall’altro, la regolarità della procedura. Il TAR adito, ritenuto che la ricorrente avesse legittimamente partecipato alla gara e ne fosse stata esclusa a causa della valutazione negativa dell’offerta, pronunciandosi dunque per l’ammissibilità del ricorso, valutava nel merito i motivi addotti, respingendoli integralmente.

In seguito, la partecipante esclusa proponeva appello innanzi al Consiglio di Stato, che, sempre muovendo dall’avvenuta esclusione, non solo respingeva nel merito l’appello proposto, ma addirittura riformava la pronuncia del TAR ritenendo l’appellante neppure legittimata a contestare nel merito gli esiti della gara. Più precisamente, l’appellante, poiché esclusa per non aver ottenuto il punteggio minimo richiesto dalla soglia di sbarramento e, non essendo stata in grado di dimostrare l’illegittimità della gara quanto all’attribuzione del predetto punteggio, di per sé era portatrice di un mero interesse di fatto, analogo a quello di qualunque altro operatore economico del settore non partecipante alla gara.

Avverso tale ultima pronuncia, la partecipante esclusa proponeva ricorso innanzi alla Corte suprema di Cassazione, lamentando la violazione del diritto ad un ricorso effettivo, di cui all’art. 1 della direttiva 89/665 e sostenendo che tale circostanza costituisse uno dei motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111 comma 8 Cost., per i quali è previsto il ricorso in Cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato.

Innanzi a tale eccezione, veniva adita la Corte di Giustizia Europea ed il giudice del rinvio interrogava l’organismo europeo proprio sulla questione relativa alla possibilità di ricorrere alla Suprema Corte nazionale per tutelare il diritto ad un ricorso effettivo, nonostante la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, sent. n. 6/2018, abbia stabilito che, allo stato, non sia ammissibile equiparare un motivo vertente su una violazione del diritto dell’Unione a un motivo inerente alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 111 comma 8 Cost.

Al fine di risolvere la questione prospettatale, la Corte di Giustizia Europea, muove innanzitutto dall’individuazione precisa della normativa europea di interesse, estrapolandone i principi rilevanti e analizzando dettagliatamente la riconducibilità del sistema di tutela giurisdizionale offerto dallo Stato membro al diritto sovranazionale, così come interpretato dalla Corte.

Per quanto concerne la normativa applicabile al caso di specie, la Corte richiama l’art. 4, paragrafo 3 3 l’art. 19, paragrafo 1 TUE, nonché l’art. 1, paragrafi 1 e 3, della direttiva 89/665, letto alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

In merito all’art. 19 paragrafo 1 TUE, questo obbliga tutti gli Stati membri a stabilire rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dall’Unione Europea, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Ciò detto, il legislatore europeo lascia ampia discrezionalità agli Stati membri circa l’individuazione dei rimedi processuali e giurisdizionali attraverso i quali attuare tale principio, salvo sempre il possibile vaglio da parte della Corte di Giustizia.

Una volta accertata, dunque, la possibilità in linea di massima degli Stati membri di poter organizzare la tutela giurisdizionale in maniera discrezionale, ivi inclusa dunque anche la previsione di un sistema di preclusioni per l’impugnazione delle decisioni del supremo organo della giustizia amministrativa da parte del supremo organo della giustizia ordinaria, la Corte analizza l’idoneità del sistema italiano a garantire la tutela del diritto ad un ricorso effettivo di matrice unionale, attraverso il vaglio della conformità ai principi di equivalenza ed effettività.

Per quanto riguarda il principio di equivalenza, la Corte rileva che l’art. 111 comma 8 Cost. limita, con le stesse modalità, la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, indipendentemente dal fatto che tali ricorsi siano basati sulla violazione della normativa nazionale o del diritto dell’Unione.

Con riferimento al principio di effettività, la Corte evidenzia che il diritto dell’Unione europea non obbliga gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso ulteriori a quelli già esistenti, salvo che il sistema renda impossibile o estremamente difficile l’effettiva tutela dei diritti accordati a livello sovranazionale. Nel sistema italiano, però, la tutela giuridica dei diritti garantiti dall’Unione Europea viene comunque consentita, essendovi un giudice precostituito per legge, nonché la previsione dettagliata dei rimedi giurisdizionali esperibili.

Inoltre, un obbligo nel senso di istituire nuovi rimedi giurisdizionali non può neppure essere ravvisato nell’art. 4, paragrafo 3 TUE, ove si prescrive agli Stati membri di adottare ogni misura di carattere generale e particolare volta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle Istituzioni dell’Unione, dovendo ritenersi soddisfatto tale requisito ove i rimedi già esistenti appaiano idonei al raggiungimento di tale scopo.

Con riferimento alla norma di cui all’art. 1, paragrafo 1 della direttiva 89/665, letta alla luce dell’art. 47 della Carta, anche tale requisito pare essere del tutto soddisfatto, attesa la sussistenza di un giudice precostituito per legge al quale i singoli possono facilmente rivolgersi, non potendosi rinvenire, come già riferito, un divieto per lo Stato di prevedere limitazioni in ordine a ulteriori valutazioni sulle decisioni del supremo organo della giustizia amministrativa.

Alla luce delle motivazioni sopra esposte, dunque, la Corte di Giustizia Europea concludeva dunque per la legittimità del sistema di preclusione individuato ai sensi dell’art. 111 comma 8 Cost., così come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, non ravvisando nessuna lesione del diritto ad un’effettiva tutela, ove impedita la possibilità di ricorrere al supremo organo della giurisdizione amministrativa avverso ad una decisione del Consiglio di Stato.

Ciò detto, la Corte opera però una valida censura alle decisioni adottate sia dal TAR che dal Consiglio di Stato, cogliendo nuovamente l’occasione per ribadire la portata del concetto di “partecipante escluso”. Ed infatti, l’esclusione ad una gara per un appalto pubblico ai sensi del diritto europeo, non può e non deve essere determinata dal semplice mancato raggiungimento di eventuali criteri richiesti, bensì  l’esclusione di un offerente è definitiva, sino a quel momento ancora sussistendo dunque un vero e proprio interesse legittimo, se l’esclusione stessa è stata comunicata ed è stata ritenuta legittima da un organo di ricorso indipendente o se non può più essere oggetto di una procedura di ricorso.

Avv. Valentina Preta