Procedura esecutiva in caso di apertura di fallimento in Germania

Spesso accade che durante il tentativo di recuperare coattivamente crediti sospesi nei confronti di partner commerciali tedeschi si renda necessaria una procedura esecutiva e che durante il corso della stessa si apra sul patrimonio del debitore una procedura fallimentare. Cosa fare in questi casi? Quale è la sorte degli atti esecutivi compiuti?

L’apertura di una procedura di insolvenza è un elemento pubblicizzato in Germania, tuttavia la sua fase prodromica (=Eröffnungsverfahren), vale a dire la procedura di valutazione dell’apertura di un fallimento che inizia con il deposito da parte di alcuni soggetti interessati (altri creditori o lo stesso debitore) della domanda di apertura (=Antrag auf Eröffnung des Insolvenzverfahrens) non è noto ai terzi e pertanto ben si potrà verificare – per un certo periodo limitato di tempo – tale sovrapposizione di procedure. Da un lato quindi le azioni esecutive individuali e dall’altro l’azione esecutiva concorsuale. Per quanto riguarda l’arco temporale di blocco delle procedure esecutive individuali esso copre – in generale- l’intera durata della procedura concorsuale. Durante tutta la durata della procedura concorsuale opera, infatti, il divieto generale di azioni esecutive individuali ai sensi del § 89 InsO(=legge fallimentare tedesca). Da tale divieto sono colpite anche le azioni esecutive per debiti della massa (non fondati da atti del curatore) per la durata di sei mesi dall’apertura del procedimento. Sempre in generale, dopo la chiusura del procedimento i creditori concorsuali possono far valere i loro crediti residui contro il debitore senza limitazioni. Tale disposizione ha il suo limite nei casi di procedure concorsuali cui segua la procedura di esdebitazione (=Restschuldbefreiung), in tali casi chiaramente non è possibile agire in via esecutiva individuale una volta ottenuta l’esdebitazione. Unica fonte di soddisfazione per i creditori concorsuali è, in tal caso, la moneta fallimentare (vedi anche “Insinuazione credito al passivo in Germania“). Una volta verificatosi lo stato d’insolvenza del debitore e nei due o tre mesi precedenti la presentazione della domanda di apertura della procedura di fallimento ben possono essere compiuti dai singoli creditori atti esecutivi che sono in linea di massima efficaci, tuttavia occorre rilevare che questi possono essere oggetto di revocatorie da parte del curatore – una volta aperta la procedura ai sensi e nei limiti del § 131 InSO.

Aperta la procedura concorsuale è anche possibile che sia il Tribunale fallimentare a provvedere in via cautelare alla sospensione degli atti esecutivi in corso ad opera dei singoli creditori ed alla interdizione di nuovi atti esecutivi che questi vogliano promuovere relativamente ai beni della massa, con apposito provvedimento ai sensi del § 21 InsO. Tuttavia è importante sapere che con l’apertura della procedura fallimentare opera ai sensi del § 88 InsO una falcidia retroattiva (=Rückschlagsperre) per tutte le azioni esecutive anteriori all’apertura del procedimento, per cui la prelazione ottenuta da un singolo creditore concorsuale su un bene della massa fallimentare con una procedura esecutiva individuale nel mese precedente alla domanda di apertura del procedimento perde efficacia con l’apertura del procedimento stesso. Il termine di riferimento per la falcidia sarà quindi la domanda di apertura del procedimento (che nella maggior parte dei casi al momento delle azioni esecutive individuali non è nota) e non il provvedimento di apertura del fallimento. Tutti gli atti compiuti nel mese anteriore a tale data sono colpiti dall’inefficacia per legge.

Lo Studio A&R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste con le proprie sedi a Monaco di Baviera, Milano e Padova nel recupero dei Vostri crediti anche nella eventuale fase esecutiva nei confronti di partner commerciali tedeschi ed è in grado di supportarVi anche nei casi di insolvenza dei Vostri debitori e nelle necessarie relazioni con le curatele fallimentari.

Il procedimento di ingiunzione europeo

Con il procedimento di ingiunzione europeo, le istituzioni dell’Unione Europea, con il Regolamento 1896/2006/CE, hanno messo a disposizione degli Stati membri uno strumento normativo di recupero dei crediti applicabile in maniera uniforme in tutti gli Stati.

Le ingiunzioni di pagamento emesse in uno qualsiasi degli Stati EU possono liberamente circolare negli altri Stati membri senza far ricorso a un procedimento intermedio di riconoscimento, in tal modo semplificando, accelerando e riducendo i costi delle controversie di natura transfrontaliera. Il ricorso a una simile procedura rimane in ogni caso, facoltativo o alternativo rispetto alle procedure monitorie nazionali e risulta solo un ulteriore strumento a disposizione degli operatori.

Il procedimento europeo d’ingiunzione, in vigore dal dicembre 2008, limita la sua portata alle controversie transfrontaliere (= quelle in cui almeno una delle parti abbia domicilio o residenza abituale in uno stato membro, diverso da quello del giudice adito) in materia civile e commerciale, al fine di recuperare crediti pecuniari d’importo determinato, scaduti ed esigibili alla data in cui è presentata l’ingiunzione di pagamento. Ne rimangono esclusi i crediti in materia tributaria, amministrativa, in materia di famiglia e successioni, i fallimenti, concordati e altre procedure analoghe, la previdenza sociale, e i crediti derivanti da obbligazioni non contrattuali, tranne ove abbiano formato oggetto di un accordo fra le parti o vi sia stato riconoscimento del debito, o ancora se i crediti riguardano debiti liquidi risultanti da comproprietà di un bene.

Tale procedimento è strettamente standardizzato e scandito dallo scambio di moduli prestabiliti ed allegati al regolamento; non è previsto per il ricorrente l’obbligo di comparire in tribunale.

La procedura inizia con la presentazione della domanda presso l’Autorità giudiziaria competente (in Germania esiste una competenza centralizzata esclusiva per tali procedimenti presso Amtsgericht/Mahngericht Berlin-Wedding.

Per la determinazione della giurisdizione si fa sempre riferimento ai criteri generali del Regolamento CE 44/2001, pertanto di solito tale procedura s’instaura nel paese, in cui ha sede il debitore convenuto, salvo che non ricorrano altri criteri che permettano il ricorso ad un foro alternativo, facoltativo od esclusivo (es: accordo sul foro competente, luogo di adempimento della prestazione ecc). In casi di richieste di pagamento nei confronti di un soggetto privato definibile come consumatore saranno competenti solo i giudici dello stato membro in cui il convenuto è domiciliato.

In questa fase non è prevista la presentazione di prove documentali. Il ricorrente si limita a descrivere le prove su cui si fonda la sua pretesa e sottoscrive una dichiarazione di fede attestante la veridicità delle informazioni date all’Autorità giudiziaria.

L’Autorità giudiziaria esamina tale domanda per verificare se ricorrono i presupposti suddetti e se la domanda non sia manifestamente infondata e si pronuncia alternativamente per: a) un accoglimento totale o parziale o b) per una richiesta di rettifiche o c) per il rigetto della domanda.

Se il giudice accoglie la domanda (di norma e in assenza di rettifiche, entro 30 gg dalla presentazione della stessa) emette un provvedimento di ingiunzione con cui intima il debitore di pagare entro 30gg. In tale occasione lo informa che il provvedimento è stato emesso sulla base delle sole informazioni del ricorrente e che non è stata compiuta alcuna attività istruttoria e lo avvisa della facoltà di fare opposizione all’ingiunzione, inoltrando l’apposito modulo allegato.

L’ingiunzione europea di pagamento è formalmente notificata alla controparte. Il debitore può opporsi entro un termine di 30gg dall’avvenuta notifica solo presso la stessa Autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento. L’opposizione non richiede motivazione.

In caso di opposizione il procedimento speciale solitamente si converte in ordinario ed è trasferito presso l’autorità giudiziaria competente nello stesso paese emittente, dove seguirà le regole processuali nazionali. In Germania esiste una normativa ad hoc per il trasferimento del procedimento alla fase ordinaria, in Italia in assenza di una tale norma sussistono diverse soluzioni giurisprudenziali per regolamentare questo passaggio. Un trasferimento a un’Autorità giuridica straniera non è possibile. Il procedimento in seguito all’opposizione si blocca, invece, qualora tale opzione sia stata espressamente scelta dal ricorrente al momento della proposizione della domanda.

In caso di mancata opposizione, il provvedimento d’ingiunzione diviene esecutivo e può direttamente essere utilizzato come apposito titolo nello stato membro in cui deve essere eseguito, senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività nello stato destinatario e senza possibilità di opposizione.

I costi di tale procedura (=Gerichtskosten) in Germania sono gli stessi previsti per il procedimento monitorio nazionale e sono da versarsi già al momento della proposizione della domanda. A tali costi sono da aggiungere le spese di notifica all’estero e le spese di traduzione. Anche gli onorari degli avvocati, salvo accordi sul compenso, sono previsti secondo tariffario forense come per la procedura monitoria interna (§ 13 RVG, Num. 3305 VV RVG) in base all’ammontare del credito fatto valere in giudizio.

Lo Studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte con sede a Monaco di Baviera, Milano e Padova Vi assiste con i propri Avvocati bilingue nella scelta delle modalità migliori e più adeguate alle Vostre esigenze imprenditoriali per il recupero del proprio credito e Vi affianca in lingua italiana in tutta la fase stragiudiziale e giudiziale in Germania.

Decreto Ingiuntivo in Germania

Quando e se ricorrere a un decreto ingiuntivo nei confronti di un debitore tedesco per il recupero di un credito sospeso, dipende da diversi fattori e deve pertanto essere una scelta oculata. Tale scelta, preceduta da una valutazione a priori dell’effettiva realizzazione del credito, deve essere finalizzata a stringere i tempi e i costi del recupero nel caso concreto.

La procedura monitoria o decreto ingiuntivo in Germania (=Mahnverfahren) è adatta al recupero di crediti in denaro nei confronti di debitori pigri nei pagamenti ed è consigliabile nei casi in cui si è sicuri che la controparte non solleverà opposizione, perché in tal caso permette di ottenere in tempi e costi contenuti un titolo esecutivo. Tale procedura, infatti, come in Italia, permette di ottenere sì un provvedimento (=Mahnbescheid) in prima battuta senza coinvolgere la controparte, ma, una volta notificato al debitore, questi ha un termine di due settimane per farne opposizione per iscritto (=Widerspruch) e senza necessarietà di fornire alcuna motivazione. In seguito a tale opposizione il procedimento monitorio si trasforma in una procedura ordinaria in contraddittorio. Pertanto in caso di probabile opposizione della controparte, l’instaurazione diretta di una procedura ordinaria può evitare la perdita di tempo e di parte dei costi.

Per poter ricorrere alla procedura ingiuntiva occorre:

  • che si tratti di crediti in denaro liquidi scaduti ed esigibili (cioè che non dipendano da una controprestazione non ancora resa) e
  • che sussista la mora del pagamento del debitore (=Zahlungsverzug).

Importante è inoltre che sia conosciuto con certezza l’indirizzo della controparte. La non notificabilità del Mahnbescheid ne fa perdere il valore.

Tribunale competente

Competente per tale procedura sono sempre le preture (=Amtsgerichten) del circondario in cui ha sede il ricorrente. Le preture competenti per la procedura monitoria sono centralizzate per ogni singolo Länder (per la Baviera – per esempio – competente è l’Amtsgericht/Mahngericht Coburg, per il Baden-Württemberg l’Amtsgericht/Mahngericht Stuttgart ecc). Nei casi di ricorrente straniero (per esempio: società italiana) nei confronti di un debitore tedesco, non avendo il ricorrente sede sociale in Germania, è stabilita una competenza centralizzata presso l’Amtsgericht/Mahngericht Berlin-Wedding. La competenza delle preture è esclusiva ed indipendente dall’entità del credito che si intende far valere. I costi processuali di tale procedura sono legati all’ammontare del credito vantato. La quasi totalità dei procedimenti ingiuntivi in Germania si svolge in modo completamente automatizzato e presso tribunali specializzati, il che determina un’effettiva celerità nello svolgimento della procedura ed un abbattimento dei costi a fronte però di una estrema standardizzazione del processo. Il ricorso per decreto ingiuntivo (=Mahnantrag) avviene per iscritto e solo secondo formulari ufficiali o per procedure online da affidare a personale specializzato. In tale fase non occorre fornire alcuna prova del credito vantato o allegare documenti giustificativi. È sufficiente l’indicazione dell’ammontare del credito principale e di eventuali accessori nonché la causa del credito. Inoltrato tale ricorso presso la pretura competente, maturano i costi processuali che andranno sin da subito versati all’Autorità giudiziaria. In seguito al pagamento ed alla verifica dei presupposti per il rilascio del provvedimento ingiuntivo, l’Amtsgericht provvederà all’emissione del Mahnbescheid che verrà notificato d’ufficio al debitore. Con la notifica di tale provvedimento si ha l’interruzione del decorso dei termini di prescrizione del credito vantato.

Opposizione al decreto ingiuntivo

Il debitore a partire da tale notifica ha un termine di due settimane per fare opposizione (=Widerspruch) per iscritto (e solitamente sulla base di formulari ufficiali prestampati allegati al Mahnbescheid e forniti alla controparte al momento della notifica). In caso di notifica all’estero, per esempio a società debitrice italiana, il termine di opposizione è innalzato ad un mese dalla notifica. L’opposizione non necessita poi, di alcuna motivazione e se tempestiva determina automaticamente il passaggio della procedura da speciale in ordinaria. La pretura competente per la procedura monitoria passerà gli atti al tribunale individuato come competente dal ricorrente e questi chiederà al ricorrente ex § 697 ZPO di fornire entro due settimane le cause giustificative del credito vantato (=Anspruchsbegründung). La parte ricorrente dovrà pertanto redigere una vera e propria citazione che verrà notificata alla controparte e determinerà l’instaurazione del processo ordinario secondo le regole del codice di procedura civile tedesco (ZPO). Qualora, invece, il debitore non sollevi alcuna opposizione tempestiva la pretura adita rilascerà – su richiesta specifica del creditore (= Antrag auf Vollstreckungsbescheid) – il titolo (=Vollstreckungsbescheid). Tale richiesta deve avvenire al più tardi entro sei mesi dalla notifica del Mahnbescheid al debitore e deve contenere la specifica indicazione se ed in che parte siano avvenuti pagamenti parziali da parte del debitore che riducano il credito complessivo. Anche tale ricorso avviene su moduli ufficiali predeterminati o secondo procedura online. Il Vollstreckungsbescheid è un titolo provvisoriamente esecutivo che viene, a sua volta, notificato d’ufficio dall’Autorità giudiziaria alla controparte debitrice. Quest’ultima ha un termine perentorio di due settimane dalla notifica per fare opposizione (=Einspruch gegen Vollstreckungsbescheid) al titolo rilasciato in toto o in parte. Anche tale opposizione deve avvenire per iscritto ma non sono previsti obblighi di forma e di motivazione. Qualora decorse le due settimane dalla notifica, la controparte non abbia sollevato alcuna opposizione, il ricorrente titolare del Vollstreckungsbescheid definitivo potrà accedere alla fase esecutiva ulteriore sul patrimonio del debitore.

Costi del decreto ingiuntivo

I costi della procedura di decreto ingiuntivo si dividono in costi processuali per l’attività dell’Autorità giudiziaria (=Gerichtskosten) e onorari per gli eventuali procuratori legali (=Rechtsanwaltsgebühren), cui sono da aggiungere spese generali e IVA. Entrambi sono commisurati al credito preteso. In caso di passaggio alla fase ordinaria solitamente tali costi sono parzialmente scomputati da quelli previsti per la fase ordinaria.

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L’effetto di un decreto ingiuntivo non opposto: La Cassazione decide su un caso italo-tedesco

Nell’ordinanza n. 8937/2024, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito un principio giurisprudenziale di particolare rilievo, precisando la portata che un decreto ingiuntivo non opposto può avere. Tale decisione sottolinea l’importanza di una corretta gestione dei procedimenti monitori, specialmente nei rapporti commerciali transfrontalieri tra Italia e Germania.

Nel caso di specie un’impresa individuale tedesca aveva richiesto un risarcimento nei confronti di una società italiana per una fornitura di carne avariata. Il danno non si limitava alla merce stessa, ma si estendeva alla contaminazione di altri prodotti presenti nei locali dell’impresa tedesca.

La società fornitrice, risultata soccombente sia in primo grado sia in appello, ha successivamente presentato ricorso per cassazione. L’argomentazione principale era che i giudici di merito avrebbero erroneamente escluso l’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo emesso prima dell’avvio del processo di primo grado e non opposto dalla società tedesca. Secondo la società ricorrente, tale decreto confermava implicitamente anche la regolarità della consegna della merce e, di conseguenza, l’assenza di vizi.

La Corte di Cassazione ha accolto l’argomentazione della società fornitrice. In virtù del principio dello ius receptum, essa ha stabilito che, in presenza di due giudizi tra le medesime parti riguardanti il medesimo rapporto giuridico, l’accertamento definitivo contenuto in una decisione passata in giudicato preclude il riesame di questioni decisive comuni ad entrambi i giudizi.

La Corte ha inoltre sottolineato che tale preclusione si estende anche alle questioni che costituiscono precedenti logici essenziali alla decisione, indipendentemente dallo scopo specifico delle due cause. In particolare, il giudicato si estende sia al dedotto sia al deducibile, ovvero non solo alle questioni espressamente sollevate, ma anche a quelle che possono esserne dedotte. Questo principio vale anche nel caso in cui il giudicato si formi non a seguito di una sentenza, ma di un decreto ingiuntivo non opposto.

La decisione acquista particolare rilievo nei rapporti commerciali tra Germania e Italia. Nel caso in questione, il decreto ingiuntivo non opposto, che condannava l’acquirente tedesco al pagamento del prezzo della fornitura, ha impedito ogni successivo riesame della questione relativa all’inadempimento per vizi della merce fornita. La preclusione deriva dal fatto che l’obbligo di pagamento, riconosciuto con efficacia di giudicato, implica la presunzione di regolarità della fornitura. La Corte ha quindi cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di risarcimento dell’impresa tedesca, condannandola al pagamento delle spese processuali per tutti i gradi di giudizio.

Il principio così stabilito risulta in netto contrasto con le disposizioni legislative tedesche, che prevedono esplicitamente l’effetto del giudicato unicamente sulle questioni decise e non su quelle deducibili, come espressamente previsto dal § 322 codice di procedura civile tedesco. In Germania, il giudicato è circoscritto agli elementi espressamente esaminati dalla decisione, il che lascia più margine per contestare altri aspetti del rapporto giuridico in successivi procedimenti.

La decisione della Cassazione rappresenta un monito per gli operatori economici tedeschi che intraprendono relazioni commerciali con controparti italiane. Proprio per questo motivo si evidenzia l’importanza di reagire tempestivamente a un decreto ingiuntivo per evitare che una decisione negativa possa avere effetti preclusivi non solo su un singolo aspetto del rapporto giuridico, ma anche su questioni logicamente connesse.

Il sequestro di conti correnti esteri ai sensi del Regolamento Europeo Nr. 655/2014: prime esperienze

Il Regolamento europeo sull’ordinanza europea di sequestro conservativo di conti bancari (OESC) è entrato in vigore dal 18.01.2017 in tutti gli stati dell’Unione europea ad eccezione del Regno Unito e della Danimarca. Tale normativa era attesa in particolare perché avrebbe dovuto dare la possibilità in casi di diritto transfrontaliero, come per esempio il recupero di un credito presso un debitore straniero residente in uno degli stati membri, di aggredire e bloccare il conto corrente di un debitore straniero. L’innovazione consiste essenzialmente nel superamento del limite territoriale del forum executionis, in quanto tale ordinanza può essere adottata da un Tribunale di uno degli stati dell’Unione con efficacia in un altro Stato dell’Unione. In realtà non si tratta di un vero e proprio pignoramento del conto, come viene impropriamente pubblicizzato, ma di un semplice blocco dello stesso nelle forme di una misura cautelare a carattere provvisorio [nel diritto tedesco la disciplina di riferimento per tale misura sono i §§ 946 e ss del codice di procedura tedesco (=ZPO)].

Si tratta quindi di una misura cautelare che si affianca a quelle nazionali già presenti con il carattere della facoltatività e alternatività rispetto ad esse, nonché a carattere speciale rispetto ai sequestri conservativi nazionali visto l’applicazione specifica per i casi transfrontalieri. Per individuare il giudice competente ad emettere tale ordinanza occorre distinguere due ipotesi: 1) il caso in cui si disponga già di un titolo esecutivo: nel qual caso competente ad emettere l’ordinanza è lo stesso giudice che ha emesso il titolo; 2) il caso in cui ancora non si sia in possesso di un titolo esecutivo: nel qual caso competente ad emettere l’OESC è il giudice che sarebbe competente per la causa di merito sulla base dei criteri generali della competenza ai sensi dei Reg. EU num. 1215/2012 e num. 4/2009. Nel caso di consumatore, vale come sempre il foro esclusivo dello stesso. Tutto chiaro sulla carta, tuttavia difficile da convertire nella pratica. Se è vero, infatti che l’OESC ha efficacia immediatamente esecutiva all’estero nei paesi dell’Unione senza che sia necessaria una corrispondente dichiarazione di esecutività, è vero altresì che la corrispondente esecuzione segue le normative nazionali e sottostà all’iniziativa individuale del creditore. Qualora ad emanare tale ordinanza sia il giudice tedesco, sarà il creditore che dovrà attivarsi per farla valere nel diverso stato dell’Unione in cui si trova il conto corrente da bloccare e in loco seguirà la normativa nazionale del luogo di ubicazione del conto da sequestrare. A fronte di tali passaggi procedurali si ha una disciplina di termini di azione così serrata da essere di difficile applicazione. In primo luogo se non si ha un titolo esecutivo e si richiede un’OESC occorre che il creditore avvii la procedura principale di merito entro un termine di 30 gg da quando è stata depositata la domanda di sequestro conservativo o entro 14 gg dall’emissione dell’ordinanza se questa data è posteriore. Pertanto una simile misura ha senso – in caso di assenza di un titolo – solo se si intende tempestivamente agire  nel merito della causa. L’ordinanza, poi, deve essere notificata al debitore entro tre giorni lavorativi da parte dei soggetti che siano responsabili dell’avvio della notifica (autorità giudiziaria o creditori) così anche la dichiarazione di terzo (banca sede del conto sequestrato) ricevuta. Il che significa in Germania, per esempio, che l’autorità giudiziaria, che è organo responsabile dell’avvio della notifica, deve entro tre giorni lavorativi provvedere alla notifica dell’OESC o della dichiarazione della banca, magari a soggetto debitore straniero residente all’estero. Tale termine appare di difficile realizzazione. Serrato è anche il termine (entro tre giorni lavorativi dalla ricezione) in cui il creditore, una volta ricevuta la dichiarazione della banca e verificato che gli importi sequestrati siano superiori a quanto richiesto ex OESC, è obbligato a richiedere il dissequestro degli importi sequestrati eccedenti gli importi fissati nell’ordinanza pena eventuali conseguenze di risarcimento danni. Questi solo una serie di esempi da cui trapela la difficoltà di tradurre nella pratica operativa i contenuti del nuovo regolamento europeo.

Lo studio A & R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste volentieri nella tutela del Vostro credito per consigliarVi al meglio le tecniche di recupero dello stesso.

Termini per il riesame di un’ingiunzione di pagamento europea (IPE)

Intendiamo segnalare una recente pronuncia della Corte di cassazione italiana (Cass. Civ. Sezioni Unite n. 7075/17) sul procedimento di riesame di una ingiunzione di pagamento europea. Come noto i creditori che intendano recuperare il proprio credito sofferente nei confronti di un partner commerciale straniero, di residenza EU, si possono avvalere – alternativamente e a seconda dei casi – sia degli strumenti nazionali  di recupero del credito (procedimenti monitori nazionali con successivo riconoscimento immediato del titolo) sia degli strumenti comunitari (IPE) ai sensi del Reg. CE n. 1896/2006, con le modifiche di cui al Reg. EU n. 2015/2421 in vigore a partire dal luglio di quest’anno. Quando un debitore riceve un’ingiunzione di pagamento europea ha oltre alla possibilità dell’opposizione ordinaria al provvedimento (Art. 16), anche la possibilità ai sensi dell’Art. 20 del suddetto Regolamento istitutivo di richiederne il riesame in circostanze eccezionali ivi descritte.

Tuttavia, mentre per l’ipotesi dell’opposizione ordinaria il legislatore comunitario ha previsto un termine esplicito di 30gg dal momento in cui l’ingiunzione è stata notificata, per il diverso procedimento di riesame nessun termine specifico viene indicato, ma viene usata unicamente la dizione che il convenuto “agisca tempestivamente”. Ma attenzione l’interpretazione relativa al termine del riesame – osserva correttamente la Corte di Cassazione – deve essere fatta unitariamente e internamente al Regolamento. Per verificare quindi quale termine sia da applicare all’ipotesi del riesame occorre riferirsi in primis all’Art 26 del Regolamento istitutivo che prevede che “tutte le questioni procedurali non trattate specificamente dal presente regolamento sono disciplinate dal diritto nazionale”, vale a dire dalla lex fori in cui il procedimento di riesame viene incardinato. Nell’ipotesi trattata dalla Corte di Cassazione italiana quindi, la legge processuale italiana. Il Regolamento con tale norma ha detto un vero e proprio divieto di far ricorso ad altri ceiteri di interpretazione sistematica, estensiva o analogica. “Il principio che il Regolamento esprime è che in tutte le ipotesi in cui una questione inerente il processo non sia trattata specificamente nel regolamento, cioè espressamente regolata da una norma di esso, la disciplina deve ricercarsi nel diritto nazionale”. A fortiori l’Art. 29 del Regolamento affida agli Stati membri la regolazione del procedimento di riesame, quindi la questione dei termini del riesame, essendo evidentemente questione di rito deve essere risolta applicando la normativa processuale italiana. Lo Stato italiano ha comunicato alla Commissione europea che il giudice italiano competente per le questioni di riesame di un’IPE è lo stesso giudice che ha emesso l’ingiunzione, ai sensi dell’Art. 650 cpc, e che anche il relativo procedimento applicabile al riesame sia quello dell’Art. 650 cpc. Quindi è ai termini previsti da tale articolo che occorre guardare per la proposizione tempestiva di un riesame dell’IPE in Italia, vale a dire ai termini previsti dall’ordinamento italiano per l’opposizione tempestiva al decreto ingiuntivo (richiamo all’Art. 641 cpc) quando non sia iniziata l’esecuzione, ed in quello di cui al terzo comma dell’Art 650 (“fino a 10 gg dal primo atto di esecuzione”) quando l’esecuzione sia già iniziata, qualificandosi tale ultimo termine come il “termine finale” per poter presentare il riesame. Oltre a questo importante chiarimento interpretativo gli Ermellini prendono posizione anche su un’eventuale menomazione del diritto alla difesa per il convenuto in Italia – come paventato dalle tesi difensive della società ricorrente. La Corte, invece, osserva che “l’istituto del riesame è costruito dal legislatore comunitario come un rimedio che ha natura meramente rescindente” e quindi che comporta la nullità dell’IPE “sulla base del solo riconoscimento da parte del giudice dell’esistenza di una situazione che legittimi il riesame”, quindi il contenuto delle difese di chi voglia proporre un riesame è limitato alla sola deduzione della situazione legittimante il riesame ai sensi dell’Art. 20 del Regolamento a differenza invece delle ben più ampie deduzioni difensive cui è tenuto un’opponente ad un decreto ingiuntivo nazionale. A detta della Corte pertanto “Il diritto di difesa non subisce la benchè minima menomazione”.

La clausola di scelta del foro e la litispendenza internazionale

Di regola nella redazione di contratti internazionali si vuole inserire una clausola di scelta del foro, affinchè le parti contrattuali possano determinare in anticipo quale giudice sarà competente a decidere eventuali future controversie. Tale clausola viene prevista non solo nei casi di vendita internazionale di beni ma anche nei casi in cui si preveda l’esercizio di una prestazione di servizi in uno stato straniero (tipico è il caso del contratto di agenzia). È opportuno – di solito – consigliare agli operatori economici l’introduzione di una simile clausola nei rapporti con un partner straniero europeo per garantire prevedibilità e sicurezza ai rapporti giuridici e per evitare che operino – in caso di controversia – le norme generali di attribuzione del foro (e della legge applicabile) previste dalla specifica normativa europea. Per maggiore sicurezza il foro individuato come competente viene qualificato come esclusivo, automaticamente arginando, per volontà tra le parti, la possibilità di individuare un diverso giudice competente in base ad un qualunque altro criterio di collegamento.

Ciascun contraente vorrebbe applicare al rapporto giuridico con il proprio partner straniero, sia la propria legge – quella a lui ben nota – sia attribuire la competenza in caso di controversie ai propri giudici nazionali. Tuttavia siccome per poter essere efficace la clausola del foro dovrà essere validamente stipulata tra le parti spesso si verificava che la controparte contrattuale straniera, che magari aveva accettato la clausola in ragione della diversa forza contrattuale delle parti, decideva lo stesso di agire presso un altro giudice (quello proprio) omettendo di menzionare l’esistenza di una clausola di scelta del foro. In questo modo la parte contrattuale che per prima ricorreva al giudice (criterio temporale) intanto bloccava la causa presso il giudice adito. Infatti in passato in base alla normativa europea (Art. 27 Reg. CE 44/2001) si prevedeva che: “Qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto ed il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende di ufficio il procedimento finchè sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza”. La logica perseguita dalla normativa europea e ben spiegata nei “considerando” del regolamento menzionato era quella di garantire “il funzionamento armonioso della giustizia” in modo che “si riduca al minimo la possibilità di pendenza di procedimenti paralleli e che vengano emesse, in due Stati membri, decisioni tra loro incompatibili”. Ora siccome nel corso del tempo si è dato luogo ad abusi di tale norma -proprio in particolare per paesi quali l’Italia, dove notoriamente il corso della giustizia civile è estremamente lento per cui parti contrattuale italiane adivano in primis i propri giudici “insabbiando” per così dire il procedimento – il legislatore comunitario è corso ai ripari. Ai sensi pertanto del nuovo Reg. Eu 1215/2012 ormai in vigore, si è introdotta una deroga a tale regola di prevenzione temporale, richiamando l’art. 31, paragrafo 2 dello stesso regolamento. In particolare si prevede ora che qualora l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro al quale una clausola di competenza esclusiva del foro attribuisca i poteri di dirimere la controversia sia adita successivamente, questa non deve rimettere la causa all’autorità giurisdizionale precedente, ma sarà quest’ultima a dover sospendere il procedimento, operando così una deroga alla priorità temporale. Attenzione, tuttavia, che tale deroga cessa di essere operante in alcuni casi: 1) chiaramente quando ad essere adita per prima sia proprio l’autorità giurisdizionale cui è attribuita giurisdizione esclusiva da valida clausola o 2) quando le parti contrattuali hanno stipulato clausole di scelta esclusiva del foro confliggenti tra loro e 3) quando il giudice indicato della clausola di scelta esclusiva del foro accerti che tale clausola sia invalida o inefficace; in tutti tali casi ritornerà ad applicarsi il principio della prevenzione temporale. Sempre di più, quindi, assume rilevanza nella redazione di contratti internazionali prestare attenzione alle singole clausole scelte tra le parti.

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Ordinanza europea di sequestro conservativo sui conti bancari

Un nuovo passo in avanti nella cooperazione giudiziaria all´intero dell’Unione europea è stato attuato con il regolamento n. 655/2014 che entrerà in vigore per gli stati membri (con esclusione dell’Inghilterra, Irlanda e Danimarca) dal 18 gennaio 2017.

Il regolamento introduce una procedura che consente al creditore di ottenere un’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari del debitore con l’obiettivo di rendere più efficace il recupero transnazionale di crediti in materia civile e commerciale. Dall’ambito di applicazione del regolamento sono esplicitamente esclusi i crediti vantanti nei confronti di un debitore laddove sia stata aperta una procedura di insolvenza. Il considerando 7 spiega in modo piuttosto chiaro il nuovo strumento messo a disposizione del creditore: Un   creditore   dovrebbe   poter   ottenere   una   misura   cautelare   sotto   forma   di   ordinanza   europea   di   sequestro   conservativo  su  conti  bancari  («ordinanza  di  sequestro  conservativo»  o  «ordinanza»)  per  evitare  il  prelievo  o  il  trasferimento  di  somme  detenute  dal  debitore  in  un  conto  bancario  tenuto  in  uno  Stato  membro  se  sussiste  il  rischio  che,  senza  tale  misura,  la  successiva  esecuzione  del  credito  vantato  nei  confronti  del  debitore  sia  impedita  o  resa  assai  più  difficile.  Il sequestro conservativo di somme detenute  nel  conto  bancario  del  debitore  dovrebbe  avere  l’effetto   di   impedirne   l’utilizzo   non   solo   da   parte   del   debitore   stesso,   ma   anche   da   parte   delle   persone   dal   medesimo  autorizzate,  ad  effettuare  pagamenti  mediante  tale  conto,  ad  esempio  mediante  ordine  permanente  o  ordini  di  addebito  diretto  o  l’utilizzo  di  una  carta  di  credito. Attraverso l’introduzione di una tale misura cautelare, diminuisce sensibilmente il rischio per il creditore di un’infruttuosa esecuzione nei confronti del debitore. La domanda di ordinanza può essere avanzata solamente laddove si tratti di casi transazionali ai sensi dell´art. 3 del regolamento ovvero se  il  conto  bancario  o  i  conti  bancari  su  cui  si  intende  effettuare  il  sequestro  mediante  l’ordinanza  di  sequestro  conservativo  sono  tenuti  in  uno  Stato  membro,  che  non  sia lo  Stato  membro  dell’autorità  giudiziaria  presso  cui  è  stata  presentata  la  domanda  di  ordinanza  di  sequestro  conservativo, o lo  Stato  membro  in  cui  il  creditore  è  domiciliato.

Condizione per il rilascio dell’ordinanza di sequestro conservativo è la presentazione da parte del creditore di prove sufficienti per convincere l’autorità giudiziaria dell’urgente necessità di una tale misura cautelare nella misura in cui sussista il rischio concreto che la successiva esecuzione del credito vantato dal creditore nei confronti del debitore sia compromessa. La domanda di ordinanza verrà presentata utilizzando un apposito modulo con le indicazioni previste dall’art. 8 del regolamento. L’ordinanza emessa in conformità al regolamento e su apposito modello avrà immediata efficacia negli altri stati membri senza che sia necessaria un’ulteriore dichiarazione di esecutività. Al fine di rendere efficace l’attuazione del regolamento, ogni Stato membro è chiamato a designare un’Autorità competente a rilasciare le informazioni necessarie per l´identificazione del conto bancario del debitore.

Lo Studio legale A&R Avvocati Rechtsanwälte con le sue sedi a Monaco di Baviera, Milano e Padova Vi assiste nel recupero transfrontaliero dei crediti nella fase stragiudiziale e giudiziale sia in Germania che in Italia.

I nuovi strumenti di finanziamento delle imprese previsti dal Governo italiano

Con il DL. Num. 59/2016 ora convertito in legge (L.119/2016) – come abbiamo avuto modo in altro blog di informare (vedi Nuovi strumenti per la gestione dei crediti in sofferenza) – si introducono nel diritto italiano due nuovi contratti di garanzia a favore delle imprese: il pegno mobiliare non possessorio e il patto marciano. Scopo di tale intervento legislativo è concedere ulteriori canali di finanziamento alle imprese senza bloccare la loro operatività. Questi nuovi strumenti di garanzia creati dal legislatore italiano offrono nuove possibilità di tutela delle proprie pretese anche ai creditori stranieri nei confronti dei propri partner commerciali italiani.

Vediamo quindi di focalizzare nel concreto i caratteri del primo di questi istituti:

Il pegno mobiliare non possessorio.

Tale pegno ha carattere speciale rispetto al pegno disciplinato nel codice civile italiano perché potrà essere costituito unicamente da parte d’imprenditori, iscritti nel registro delle imprese (limite soggettivo) e solo su alcuni tipi di beni, quelli “inerenti all’esercizio dell’attività di impresa” (limite oggettivo), quindi non su beni personali dell’imprenditore o relativi ad una impresa diversa da quella nei cui confronti si vanti il credito. Caratteristica peculiare di questo nuovo istituto è la mancanza di spossessamento del bene. A differenza di quanto contraddistingue il pegno ordinario per cui il creditore è garantito proprio dal fatto di avere il possesso del bene mobile, in tale nuovo istituto il creditore è garantito dal meccanismo della pubblicità legale del pegno non possessorio. Infatti nel caso in cui si voglia costituire un tale pegno occorrono non solo dei requisiti formali stringenti (quali il contratto scritto tra le parti previsto a pena di nullità e l’indicazione specifica dei soggetti coinvolti, dei beni dati in garanzia, del credito garantito e dell’importo massimo garantito), ma occorre l’iscrizione di tale pegno in un registro telematico tenuto presso l’Agenzia delle Entrate e denominato “Registro dei pegni non possessori”. È solo con tale iscrizione che viene ad esistenza il pegno non possessorio (efficacia costitutiva della pubblicità legale) e se ne determina il grado e l’opponibilità ai terzi. In altri termini anche se sono possibili più pegni non possessori sullo stesso bene, deve essere presa come riferimento, quanto meno ai fini dell’opponibilità, la data della prima iscrizione. Ciò vale anche in caso di sentenza dichiarativa di fallimento del debitore, per cui il creditore garantito da pegno non possessorio iscritto in data anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento non solo potrà essere opposto al fallimento stesso, ma gode all’interno della procedura di una posizione particolarmente privilegiata. Tale creditore, infatti, avrà la possibilità di liquidare in via stragiudiziale autonoma (nonostante la pendenza della procedura fallimentare) con il solo limite di aver insinuato precedentemente il proprio credito nel passivo fallimentare e di essere stato ammesso al passivo con prelazione.

Rimane tuttavia un’attività di monitoraggio del curatore sulle attività di liquidazione del bene garantito da pegno non possessorio nonché la possibilità che anche tale garanzia possa essere colpita da azioni revocatorie ai sensi degli artt. 66 e 67 della legge fallimentare.

La garanzia del pegno non possessorio presenta, poi, tutta una serie di vantaggi che la rendono attraente per il creditore che se ne intenda avvalere, in particolare, la cd. rotatività  dei beni oggetto della garanzia non possessoria, dei quali anche in presenza del vincolo di garanzia si potrà disporre. Quindi in via generale e tranne nel caso in cui le parti contrattualmente lo escludano, il pegno non possessorio si potrà trasferire anche al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo o se trasformato in altro prodotto, sul risultato di tale trasformazione. Il bene oggetto di pegno non possessorio potrà anche essere locato, con il vantaggio dell’imputazione dei canoni di affitto al soddisfacimento del credito garantito. In ogni caso attenzione è dovuta perché l’iscrizione di pegno non possessorio ha durata di soli 10 anni (seppure rinnovabile) e le modalitá di registrazione allo stato attuale non sono ancora state precipuamente disciplinate. Quindi uno strumento di garanzia del credito interessante sotto diversi profili tutte le volte in cui sussista un interesse della prosecuzione dell’attività economica del proprio partner commerciale.

Lo studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste nella valutazione di possibilità e opportunità di costituzione di garanzie a tutela dei Vostri crediti anche alla luce delle costanti novità normative.

Anche sentenze contumaciali sono suscettibili di certificazione come titoli esecutivi europei e pertanto eseguibili direttamente nei paesi EU

La Corte di giustizia europea si è pronunciata di recente su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Bologna per chiarire in modo inequivocabile che una sentenza contumaciale può essere certificata come titolo esecutivo europeo ai sensi del Regolamento CE 85/2004 e come tale direttamente eseguita all’estero perché rientrante nelle ipotesi di “crediti non contestati” come qualificati all’interno del regolamento europeo. Ciò avviene anche qualora il diritto nazionale della pronuncia – come nel caso di specie il diritto italiano – non attribuisca alla condanna contumaciale valenza di non contestazione del credito.

La pregiudiziale era stata sollevata dal Tribunale di Bologna il quale, richiesto di rilasciare la certificazione di titolo esecutivo europeo su una sentenza di condanna resa in contumacia della controparte, si chiedeva se l’assenza dal processo della parte creditrice dovesse essere valutata alla stregua del diritto italiano (quindi denegando la valenza di mancata contestazione) o secondo il diritto europeo che la qualifica come situazione di non contestazione (semprechè siano state osservate tutte le garanzie sufficienti del rispetto del diritto di difesa – vedi anche “Nuovo Regolamento Europeo sulla competenza giurisdizionale, riconoscimento e esecuzione delle decisioni“). Nella sentenza C-511/14 – 16 giugno 2016 – Pebros Servizi srl c. Aston Martin –sulla corretta interpretazione del Reg. CE 805/2004 sul Titolo Esecutivo UE per crediti non contestati la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito, nella sua funzione di ente deputato all’applicazione uniforme del diritto europeo e garante del principio di eguaglianza tra gli Stati membri, che i “crediti non contestati” devono essere determinati in modo autonomo, sulla base di questo solo regolamento. Nello specifico ha ribadito – come da sua giurisprudenza costante – che tutte le volte in cui “i termini di una disposizione del diritto dell’Unione non contengano alcun espresso richiamo al diritto degli stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, devono essere oggetto nell’intera Unione Europea di un’interpretazione autonoma ed uniforme da effettuarsi secondo il contesto della disposizione e delle finalità perseguite dalla normativa in questione”. Il regolamento CE rinvia sì alle norme procedurali nazionali, ma solo in relazione alle modalità procedurali ed ai termini di cui può servirsi la parte debitrice per opporsi efficacemente al credito. Qualora queste modalità non siano state seguite o i termini siano inutilmente decorsi e purché siano osservate le garanzie minime del diritto alla difesa, la mancata partecipazione al giudizio di parte creditrice è da valutarsi come non contestazione. Nella pronuncia in oggetto, inoltre, appare rilevante anche un chiarimento interpretativo della Corte di giustizia europea sull’attività stessa di certificazione di una sentenza come titolo esecutivo compiuta dai Tribunali richiesti. Tale attività non è da considerarsi come “un procedimento puramente amministrativo o di volontaria giurisdizione” – così in obiezione il Governo italiano, bensì come un “esame giurisdizionale delle condizioni previste dal regolamento CE 805/2004 al fine di valutare se siano state osservate le norme minime volte a garantire il rispetto dei diritti di difesa del debitore”. Quindi è auspicabile che i giudici risultino sensibilizzati da tale pronuncia della Corte europea e valutino la richiesta di certificazione di titoli quali TEE come un’attività di seria certificazione delle decisioni giudiziarie che si vogliano far valere esecutivamente all’estero, garantendo il controllo della regolarità del procedimento giudiziario che ha condotto alla sentenza tramite verifica di tutti gli elementi elencati nell’Allegato I al regolamento CE idoneo per tale certificazione.

Lo studio A & R Avvocati Rechtsanwälte Vi supporta sia nella fase di richiesta presso i tribunali italiani di apposita certificazione di titolo esecutivo europeo per sentenze ottenute nei confronti di soggetti residenti in uno degli stati membri (in particolare in Germania) sia anche per la parallela attività di verifica di tali certificazioni ottenute in Germania nei Vostri confronti.