Competenza del giudice italiano per illeciti civili

Segnaliamo la sentenza nr. 27164 del 26 ottobre 2018 della Corte di Cassazione a sezioni unite in tema di giurisdizione del giudice italiano nei confronti di soggetti stranieri in materia di illeciti civili.

In particolare la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla giurisdizione del giudice italiano in merito alla domanda risarcitoria avanzata da un’emittente radiofonica italiana nei confronti di una radio slovena operante su una frequenza diversa, a causa delle illecite interferenze, provenienti dall’impianto dell’emittente slovena, con il segnale irradiato dall’impianto dell’attrice in Italia.

Le Sezioni Unite richiamano espressamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea – Corte giust. 11 gennaio 1990, causa C-220/88, e Corte giust. 16 luglio 2009, C-189/08 – osservando che, ai sensi dell’art. 5, n. 3, Regolamento CE n. 44del 2001 [ora sostituito dall’art. 7, n. 2, Regolamento UE n. 1215 del 2012], deve aversi riguardo al “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto”, ovvero il luogo in cui è sorto il danno ed in cui il fatto causale ,generatore della responsabilità da delitto, ha prodotto direttamente i suoi effetti dannosi nei confronti della vittima immediata, dovendosi avere riguardo non solo al “luogo dell’evento generatore del danno”, ma anche al “luogo in cui l’evento di danno è intervenuto” e non rilevando invece il luogo dove si sono verificate o potranno verificarsi le conseguenze future della lesione del diritto della vittima.

Nel caso di specie il luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto non è dunque quello in cui è ubicato l’impianto estero della radio straniera ma, piuttosto, quello in cui sorge il danno, ovvero l’area colpita dall’interferenza individuabile sul territorio italiano.

Diritto indennità nei contratti di agenzia

Segnaliamo una nuova sentenza della Corte di Giustizia Europea (nr. 51/18 Lussemburgo, 19 aprile 2018 causa C-645/16) sul riconoscimento del diritto all’indennità di fine rapporto degli agenti commerciale anche laddove la cessazione del contratto si verifichi nel corso del periodo di prova.

L’agente concludeva con il preponente un contratto di agenzia commerciale in base al quale si obbligava alla vendita per conto della società preponente di venticinque ville all’anno. Il contratto prevedeva un periodo di prova di un anno con la facoltà per ognuna delle parti di recedere dal contratto entro tale termine salvo un congruo preavviso.

Dopo sei mesi il preponente risolveva il contratto di agenzia in ragione del mancato raggiungimento degli obiettivi contrattualmente previsti da parte dell’agente. Quest’ultimo richiedeva dunque l’indennità di fine rapporto, fondando la propria pretesa sul dettato della direttiva europea 86/653/CEE ai sensi della quale, a seguito della cessazione del contratto, l’agente ha diritto ad un’indennità nella misura in cui:

  • abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
  • il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

La Corte di Cassazione francese, investita della controversia, si rivolge alla Corte di Giustizia richiedendo se l’articolo della direttiva relativo al riconoscimento dell’indennità debba trovare applicazione nel caso di cessazione del contratto d’agenzia commerciale durante il periodo di prova, tenendo presente che il periodo di prova non è contemplato dalla direttiva. Nella sentenza in oggetto, la Corte di Giustizia, dopo avere osservato che la pattuizione relativa al periodo di prova nell’ambito del contratto di agenzia, pur non previsto dalla direttiva, è lasciato alla libertà contrattuale delle parti, statuisce che l’agente commerciale ha diritto a ricevere l`indennità di fine rapporto – laddove sussistano le condizioni richieste dalla normativa- anche durante il periodo di prova. La Corte argomenta la sua decisione ribadendo la finalità compensativa dell’indennità di fine rapporto, che non è volta a sanzionare la risoluzione del contratto ma ad indennizzare l’agente per la sua attività svolta a favore del preponente di cui quest’ultimo continui a beneficiare a seguito della cessazione del rapporto.

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Vendita internazionale di beni mobili e saggio degli interessi

Quando si stipula un contratto con un partner commerciale che si trova in uno stato diverso dal proprio (come nel caso in cui il venditore ha sede in Italia ed il compratore in Germania) se le parti non hanno scelto in fase di trattative quale sia la legge applicabile al rapporto, troverà applicazione la disciplina della Convenzione di Vienna del 1980, che regola la vendita internazionale B2B di beni mobili.

L’art. 78 della Convenzione di Vienna del 1980 prevede che al creditore del prezzo del bene compravenduto spettino gli interessi. La norma tuttavia non prevede quale sia il saggio di interesse che debba essere applicato al fine del calcolo degli interessi stessi. Per tutto ciò che non è espressamente regolato dalla Convenzione, si dovrà fare riferimento alla legge che si applica al rapporto in base alle regole di diritto internazionale privato. Il regolamento CE 593/2008 (Roma I), stabilisce che, in mancanza di scelta delle parti, il contratto di vendita di beni sia disciplinato dalla legge del paese nel quale il venditore ha la sua residenza abituale. Quindi la misura del saggio di interesse deve essere determinata dal diritto al quale rinviano le norme di diritto internazionale privato e quindi dalla legge del venditore.

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Mediazione obbligatoria: il consumatore non deve essere obbligatoriamente assistito da un avvocato e deve essere libero di ritirarsi dalla procedura senza alcun vincolo

Con la sentenza del 14 giugno 2017 (Causa 75-16) la Corte di Giustizia UE si pronuncia nel senso che la nostra normativa nazionale non possa imporre al consumatore, parte di una procedura risoluzione alternativa delle controversie (ADR), di essere assistito obbligatoriamente da un avvocato.

Il Tribunale di Verona rivolgeva alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e della direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. In particolare il giudice del rinvio poneva all’attenzione della Corte i seguenti quesiti ovvero

  1. la legittimità del ricorso obbligatorio a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1 della Direttiva 2013/11, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie;
  2. l’assistenza obbligatoria dei consumatori nell’ambito di un tale procedimento di mediazione da parte di un avvocato;
  3. la legittimità della presenza di un giustificato motivo per i consumatori al fine di sottrarsi a un previo ricorso alla mediazione;

Il Tribunale di Verona richiedeva l’analisi di tali quesiti al fine della valutazione da parte della Corte della eventuale violazione della normativa nazionale ai dettami della direttiva 2013/11.

Tale questione è stata proposta nell’ambito di una controversia che contrapponeva due privati ad un Istituto di credito nella controversia avente ad oggetto il regolamento del saldo debitore di un conto corrente di cui i privati erano titolari. La Corte osserva in base alla direttiva 2008/52 che “La mediazione di cui alla presente direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento” e che “l’articolo 3, lettera a), della medesima direttiva definisce la nozione di «mediazione» come un procedimento strutturato,  […] dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro”.

La Corte prendendo in esame la Direttiva 2013/11, osserva che al considerando 16 prevede nel suo ambito di applicazione i reclami presentati dai consumatori nei confronti dei professionisti e che tale direttiva dispone ai sensi dell’art. 6 che le parti siano informate del fatto che non sono obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale e del diritto di potersi ritirare dalla procedura in qualsiasi momento se non sono soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della procedura.

A seguito di un esame della normativa nazionale italiana in materia di mediazione, la Corte si pronuncia nel senso che:

  • la direttiva 2013/11 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario;
  • la medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.

 

Trasferimento della sede legale all’estero: quale giudice è competente per la dichiarazione di fallimento?

Con la sentenza nr. 7470 del 23 marzo 2017 la prima sezione della Corte di Cassazione conferma un principio già affermato dalla Corte di giustizia europea ovvero che per determinare la competenza del giudice ad aprire il fallimento si deve analizzare in quale luogo si trovi effettivamente il COMI (Center of main interest) essendo il luogo della sede statutaria, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CE n. 1346/2000, solo presuntivamente e salvo prova contraria il centro degli interessi principali della società.

Nel caso di specie la società, con sede legale nel circondario di competenza del Tribunale fallimentare di Napoli, dopo il manifestarsi della crisi di impresa ed al fine di frodare i creditori, trasferisce la sua sede legale a Londra. La società dichiarata fallita impugna la sentenza del Tribunale di Napoli affermando il difetto di giurisdizione del giudice italiano e la conseguente nullità della sentenza impugnata motivando che fino a prova contraria il centro degli interessi principali del debitore coincide con la sede statutaria che al momento dell’apertura del fallimento si trovava a Londra.

La Corte di appello respinge il reclamo confermando la giurisdizione del giudice italiano posto che la s.r.l. fallita aveva deliberato il trasferimento della sede all’estero quando il suo stato d’insolvenza era del tutto palese, non aveva dedotto o dimostrato le ragioni di natura imprenditoriale sottese alla modifica né era stato dimostrato lo svolgimento di un’effettiva attività produttiva a Londra. Il trasferimento ha avuto pertanto natura fraudolenta e fittizia.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la società.

La Cassazione respinge il ricorso motivando come segue:

La Corte di giustizia (20 ottobre 2011, procedimento C – 396/09, Interedil; p.p. 56 e 57) ha precisato che “nel caso (…) di un trasferimento della sede statutaria prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza, è pertanto presso la nuova sede statutaria che, in conformità all’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento, si presume si trovi il centro degli interessi principali del debitore. Sono, di conseguenza, i giudici dello Stato membro nel cui territorio si trova la nuova sede che, in linea di principio, divengono competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale, a meno che la presunzione introdotta dall’art. 3, n. 1, del regolamento non sia superata dalla prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede statutaria“.

D’altra parte la Corte di Giustizia aveva già con la nota sentenza  Eurofood affermato che: “per determinare il centro degli interessi principali di una società debitrice, la presunzione semplice prevista dal legislatore comunitario a favore della sede statutaria di tale società può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria”

Le sezioni Unite della Cassazione (S.U. 11398 del 2009) hanno sulla base dei principi indicati dalla Corte Europea affermato che: “un indicatore della non coincidenza della sede legale con quella effettiva può cogliersi quando il trasferimento all’estero della sede legale dopo il manifestarsi della crisi d’impresa, non è sostenuto dalla prosecuzione della medesima attività d’impresa svolta in Italia, né sia stato spostato presso di essa il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa, bensì determini una discontinuità, o dovuta all’inesistenza di qualsiasi attività o all’impostazione di un’attività (fittizia o reale) non riconducibile a quella preesistente” (S.U. 11398 del 2009)  ed inoltre che “è necessario valutare rigorosamente se al trasferimento di sede sia seguito concretamente il trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale, così da non risolversi in un atto meramente formale” (S.U. 3059 del 2016).

La Cassazione dunque rileva che la Corte di Appello ha svolto l’accertamento richiesto in sede di verifica della giurisdizione italiana valutando i seguenti indicatori: la reperibilità della società; l’iscrizione nel registro delle imprese inglese; la nomina dell’amministratore; lo svolgimento di un’attività d’impresa rilevandone il carattere meramente “formale” e non rappresentante della effettiva realtà dell’impresa, sottolineando che l’iscrizione nel registro delle imprese era sub judice; che gli amministratori esteri che si erano avvicendati erano comuni ad un numero molto elevato di altre società, ubicate nella stessa sede legale, che questi peculiari elementi fattuali ponevano in rilievo l’esclusivo carattere fittizio delle nomine in questione; che l’attività d’impresa svolta era in netta discontinuità sia rispetto alla qualità ed all’oggetto di quella preesistente, sia rispetto all’entità del giro d’affari.

Nel respingere il ricorso, la Suprema Corte afferma il principio della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano per la dichiarazione di fallimento della società, laddove risulti che il trasferimento della sede legale sia stata meramente fittizio e avvenuto quando lo stato di insolvenza era già palese, con superamento della presunzione relativa alla coincidenza della sede legale con quella reale.

Opponibilità della data certa del documento informatico nel giudizio di opposizione allo stato passivo: l’onere della prova spetta al curatore

Il tribunale di Rovigo respinge l’opposizione allo stato passivo del fallimento, ritenendo che il requisito della data certa difettasse in quanto quest’ultima risultava dalla marca temporale apposta in sede di digitalizzazione dalla società certificatrice, ai sensi dell’art. 1 cod. amm. digitale (D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82), ma la creditrice opponente non aveva dimostrato il rispetto, da parte della suddetta società, delle regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme digitali, validazione temporale del documento informatico, formazione e conservazione del medesimo. La Banca, la cui ammissione del credito è stata esclusa in ragione della suddetta decisione, propone ricorso per Cassazione di cui alla seguente pronuncia.

La Suprema Corte accoglie il ricorso della creditrice (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 12939 del 23.05.17) motivando che, sebbene la data e l’ora del documento informatico siano opponibili ai terzi solo “se apposte in conformità alle regole tecniche sulla validazione temporale” (l’art. 20, comma 3, cod. amm. Digitale), è anche vero che l’accreditamento e la conseguente iscrizione della società certificatrice nell’apposito elenco pubblico tenuto dal CNIPA, comporta necessariamente una presunzione di conformità della sua attività a dette regole. Da questo discende il principio affermato dalla Cassazione nella presente pronuncia ovvero che é onere del curatore fallimentare, quale parte che ha interesse a negare la certezza della data del documento informatico nel giudizio di opposizione allo stato passivo, provare ed allegare che la certificazione non sia avvenuta nel rispetto delle regole tecniche in quanto la società certificatrice non le ha rispettate. E tale allegazione in fatto non può essere effettuata per la prima volta nel giudizio di rinvio. La Corte precisa, inoltre, che quanto affermato non si pone in contrasto con il principio della rilevabilità di ufficio del difetto di data certa dei documenti prodotti dal creditore per dare prova del proprio credito insinuato al passivo fallimentare, in quanto nel caso in esame “l’atto attributivo di certezza alla data non difetta: esso esiste, mentre è in discussione la sua veridicità, sulla quale incide la presunzione di cui si è detto sopra”.

Ristrutturazione delle imprese e armonizzazione del diritto fallimentare europea: proposta di direttiva della Commissione Europea del 22 novembre 2016

La Commissione ha presentato una nuova proposta di Direttiva (2016/0359) sulla ristrutturazione preventiva delle imprese e sulla concessione di una seconda opportunità agli imprenditori, prevedendo misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione all’interno dell`Unione Europea al fine di agevolare la sopravvivenza delle imprese solide e migliorare il funzionamento del mercato interno.

La direttiva soddisfa le attese degli operatori del settore proponendo un nuovo approccio alle situazioni di crisi aziendale con la promozione di una ristrutturazione preventiva in tempi brevi al fine di sostenere la crescita e tutelare i posti di lavoro. La direttiva sarà uno strumento di fondamentale importanza per le imprese in crisi, consentendo alle stesse di agire tempestivamente nella ristrutturazione al fine di evitare il fallimento e il licenziamento del personale garantendo agli imprenditori una seconda opportunità di fare impresa dopo un fallimento. La commissaria per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, Vĕra Jourová, ha dichiarato: “Ogni anno nell’UE falliscono 200 000 imprese; il che si traduce in 1,7 milioni i posti di lavoro persi. Ciò potrebbe spesso essere evitato se avessimo procedure più efficaci in materia di insolvenza e ristrutturazione. È giunto il momento di dare agli imprenditori una seconda opportunità di avviare un’attività attraverso la completa liberazione dai debiti entro un termine massimo di tre anni“. La direttiva si propone dunque di armonizzare il più possibile le procedure di insolvenza, posto che frammentazione legislativa in materia di insolvenza è fonte di incertezza del diritto così rappresentando un limite alla espansione transfrontaliera e riducendo gli investimenti transfrontalieri. L’eccessiva lentezza delle procedure di insolvenza in molti Paesi dell’Unione Europea rappresenta un fattore deterrente per gli investimenti. E´ stato calcolato che in metà dei Paesi dell’Unione le procedure di insolvenza durano dai 2 ai 4 anni.

Attraverso l’uniformazione delle procedure di insolvenza sarà possibile assicurare un migliore funzionamento del Mercato Unico, sia dei beni che dei capitali. In particolare la direttiva si propone di:

  1. ridurre gli ostacoli agli investimenti transfrontalieri derivanti dalla frammentazione legislativa in materia di ristrutturazione ed insolvenza, e aumentare le opportunità di investimento e di lavoro nel mercato interno;
  2. ridurre il numero di liquidazioni inutili di imprese economicamente sostenibili e aumentare le possibilità di ristrutturazioni transfrontaliere nel mercato interno consentendo agli imprenditori di beneficiare di una seconda opportunità, poiché saranno sgravati interamente dai debiti dopo un periodo massimo di 3 anni;
  3. adottare misure mirate affinché gli Stati membri aumentino l’efficienza delle procedure di insolvenza, ristrutturazione così aumentando le opportunità di ripartire per gli imprenditori onesti. Tali misure verranno conseguite riducendo la lunghezza ed i costi eccessivi delle procedure in molti Stati membri.

La proposta è inoltre un passo positivo verso la stabilità finanziaria dell´UE. Attraverso procedure di ristrutturazione efficienti, le imprese saranno in grado di restituire i prestiti alle banche così diminuendo gli elevati livelli di crediti in sofferenza in alcune parti del settore bancario. Ciò consentirà alle banche di erogare maggiori prestiti ai consumatori e alle imprese. Al fine di realizzare gli obiettivi prefissati, la Commissione propone l’istituzione di quadri legislativi armonizzati nel settore della ristrutturazione, prevedendo:

  • L’accesso degli imprenditori in crisi – in particolare nel settore della piccola e media impresa – a strumenti di allerta per individuare il deterioramento degli affari e assicurare la ristrutturazione il più precocemente possibile;
  • L’introduzione di norme flessibili di ristrutturazione preventiva al fine di semplificare i procedimenti giudiziari lunghi, complessi e costosi, attraverso l’eventuale coinvolgimento dei giudici nazionali per salvaguardare gli interessi delle parti interessate;
  • La possibilità per l’imprenditore in crisi di beneficiare di un periodo limitato di tempo di un massimo di quattro mesi della moratoria al fine di favorire eventuali trattative per una ristrutturazione efficace della sua impresa;
  • L’incapacità per i creditori e per gli azionisti di minoranza dissenzienti di bloccare i piani di ristrutturazione. Allo stesso tempo verranno introdotte delle norme per la tutela degli interessi legittimi di questi soggetti;
  • La protezione di nuovi finanziamenti in modo da aumentare le possibilità di una ristrutturazione efficace;
  • La tutela dei diritti dei lavoratori in conformità con la legislazione vigente dell’UE durante le procedure di ristrutturazione preventiva;
  • L’incentivazione della formazione e specializzazione di curatori fallimentari e di giudici nonché dell’uso delle tecnologie al fine di migliorare l’efficacia e la durata delle procedure di insolvenza e di ristrutturazione.

Lo studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte con sede a Monaco di Baviera, Milano e Padova Vi assiste in tutte le questioni inerenti una crisi aziendale o procedura d’insolvenza transfrontaliera permettendoVi di prevenire rischi legali ed eventuali perdite relative ad un fallimento. Contattateci, i nostri Avvocati in Germania e Italia Vi offriranno un assistenza completa e competente.

Furto al Ristorante

Lo Studio legale A&R Avvocati Rechtsanwälte è stato invitato a curare per il giornale “Buongiorno Italia” una rubrica di suggerimenti giuridici pratici per i ristoratori italiani in Germania. Nell´articolo che segue viene presentato un caso concreto di furto in un ristorante, dal quale si prende spunto per illustrare brevemente le prescrizioni in materia, le eventuali responsabilità del ristoratore, soluzioni e tutele in merito.

Lo Studio cerca di fornire agli operatori del settore dei primi strumenti di facile comprensione per affrontare nel modo migliore problematiche ricorrenti. Vi auguriamo buona lettura.

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La prescrizione nel diritto tedesco

Nell’ambito dei rapporti commerciali tra Italia e Germania, laddove al rapporto si applichi la legge tedesca, diviene di fondamentale importanza per l’operatore commerciale conoscere la disciplina della prescrizione al fine di evitare brutte sorprese e scoprire che le proprie pretese non possano più essere azionate.

Il § 195 BGB (codice civile tedesco) prevede che il termine ordinario di prescrizione sia pari a 3 anni. Una differenza non irrilevante rispetto al diritto italiano, laddove il termine ordinario di prescrizione è pari a 10 anni. Accanto alla regola generale, il BGB prevede però dei termini di prescrizione più lunga (30 anni) per la tutela di alcune pretese ritenute particolarmente rilevanti come:

  • i diritti derivanti dalla lesione della integrità fisica e della salute;
  • i diritti in materia di famiglia ed ereditaria;
  • i diritti accertati con sentenza passata in giudicato;
  • i diritti derivanti da transazioni giudiziali;
  • i diritti dichiarati esecutivi in seguito ad accertamento in sede fallimentare.

Il diritto di chiedere il trasferimento di una proprietà su immobili, si prescrive in dieci anni (§ 196 BGB). A differenza del diritto italiano, il BGB ammette la derogabilità dei termini di prescrizione attraverso specifici accordi tra le parti. Tale previsione è soggetta però ad alcune limitazioni ovvero il patto non può prolungare il periodo di prescrizione oltre al periodo massimo di 30 anni né è ammissibile un accordo tra le parti diretto ad abbreviare la durata della prescrizione in caso di responsabilità per atti dolosi (§ 202 BGB). Particolarmente rilevanti sono inoltre le norme relative al decorso ed al computo dei termini di prescrizione. Il termine ordinario di prescrizione di 3 anni inizia a decorrere con la fine dell’anno, in cui la pretesa è venuta ad esistenza o in cui il creditore ha avuto conoscenza dei fatti costitutivi della pretesa e della persona del debitore (§ 199 BGB). Questo significa a livello pratico che le pretese per i crediti esigibili nel 2013 (a prescindere dal giorno e dal mese dell’anno in cui tali pretese siano venute ad esistenza) devono essere fatte valere entro il 31 dicembre 2016. In caso contrario le pretese si saranno prescritte al 1 gennaio 2017. A differenza del diritto italiano, l’intimazione di pagamento con messa in mora formale del debitore non interrompe né tantomeno sospende il termine di prescrizione. A tale fine è necessario introdurre un procedimento giudiziale con notifica dell’atto alla controparte prima della scadenza del termine di prescrizione. Altre ipotesi di sospensione della prescrizione sono regolate dai §§ 203 ss. BGB.

Lo Studio legale A&R Avvocati Rechtsanwälte, con le sue sedi a Monaco di Baviera, Milano e Padova, Vi assiste nei Vostri rapporti commerciali italo-tedeschi informandoVi sulle modalità di tutela delle Vostre pretese. Lo Studio, in particolare, offre alla Vostra azienda una consulenza competente nel recupero transfrontaliero dei crediti sia nella fase stragiudiziale sia in quella giudiziale in Germania che in Italia.

Ordinanza europea di sequestro conservativo sui conti bancari

Un nuovo passo in avanti nella cooperazione giudiziaria all´intero dell’Unione europea è stato attuato con il regolamento n. 655/2014 che entrerà in vigore per gli stati membri (con esclusione dell’Inghilterra, Irlanda e Danimarca) dal 18 gennaio 2017.

Il regolamento introduce una procedura che consente al creditore di ottenere un’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari del debitore con l’obiettivo di rendere più efficace il recupero transnazionale di crediti in materia civile e commerciale. Dall’ambito di applicazione del regolamento sono esplicitamente esclusi i crediti vantanti nei confronti di un debitore laddove sia stata aperta una procedura di insolvenza. Il considerando 7 spiega in modo piuttosto chiaro il nuovo strumento messo a disposizione del creditore: Un   creditore   dovrebbe   poter   ottenere   una   misura   cautelare   sotto   forma   di   ordinanza   europea   di   sequestro   conservativo  su  conti  bancari  («ordinanza  di  sequestro  conservativo»  o  «ordinanza»)  per  evitare  il  prelievo  o  il  trasferimento  di  somme  detenute  dal  debitore  in  un  conto  bancario  tenuto  in  uno  Stato  membro  se  sussiste  il  rischio  che,  senza  tale  misura,  la  successiva  esecuzione  del  credito  vantato  nei  confronti  del  debitore  sia  impedita  o  resa  assai  più  difficile.  Il sequestro conservativo di somme detenute  nel  conto  bancario  del  debitore  dovrebbe  avere  l’effetto   di   impedirne   l’utilizzo   non   solo   da   parte   del   debitore   stesso,   ma   anche   da   parte   delle   persone   dal   medesimo  autorizzate,  ad  effettuare  pagamenti  mediante  tale  conto,  ad  esempio  mediante  ordine  permanente  o  ordini  di  addebito  diretto  o  l’utilizzo  di  una  carta  di  credito. Attraverso l’introduzione di una tale misura cautelare, diminuisce sensibilmente il rischio per il creditore di un’infruttuosa esecuzione nei confronti del debitore. La domanda di ordinanza può essere avanzata solamente laddove si tratti di casi transazionali ai sensi dell´art. 3 del regolamento ovvero se  il  conto  bancario  o  i  conti  bancari  su  cui  si  intende  effettuare  il  sequestro  mediante  l’ordinanza  di  sequestro  conservativo  sono  tenuti  in  uno  Stato  membro,  che  non  sia lo  Stato  membro  dell’autorità  giudiziaria  presso  cui  è  stata  presentata  la  domanda  di  ordinanza  di  sequestro  conservativo, o lo  Stato  membro  in  cui  il  creditore  è  domiciliato.

Condizione per il rilascio dell’ordinanza di sequestro conservativo è la presentazione da parte del creditore di prove sufficienti per convincere l’autorità giudiziaria dell’urgente necessità di una tale misura cautelare nella misura in cui sussista il rischio concreto che la successiva esecuzione del credito vantato dal creditore nei confronti del debitore sia compromessa. La domanda di ordinanza verrà presentata utilizzando un apposito modulo con le indicazioni previste dall’art. 8 del regolamento. L’ordinanza emessa in conformità al regolamento e su apposito modello avrà immediata efficacia negli altri stati membri senza che sia necessaria un’ulteriore dichiarazione di esecutività. Al fine di rendere efficace l’attuazione del regolamento, ogni Stato membro è chiamato a designare un’Autorità competente a rilasciare le informazioni necessarie per l´identificazione del conto bancario del debitore.

Lo Studio legale A&R Avvocati Rechtsanwälte con le sue sedi a Monaco di Baviera, Milano e Padova Vi assiste nel recupero transfrontaliero dei crediti nella fase stragiudiziale e giudiziale sia in Germania che in Italia.