La clausola di scelta del foro e la litispendenza internazionale

Di regola nella redazione di contratti internazionali si vuole inserire una clausola di scelta del foro, affinchè le parti contrattuali possano determinare in anticipo quale giudice sarà competente a decidere eventuali future controversie. Tale clausola viene prevista non solo nei casi di vendita internazionale di beni ma anche nei casi in cui si preveda l’esercizio di una prestazione di servizi in uno stato straniero (tipico è il caso del contratto di agenzia). È opportuno – di solito – consigliare agli operatori economici l’introduzione di una simile clausola nei rapporti con un partner straniero europeo per garantire prevedibilità e sicurezza ai rapporti giuridici e per evitare che operino – in caso di controversia – le norme generali di attribuzione del foro (e della legge applicabile) previste dalla specifica normativa europea. Per maggiore sicurezza il foro individuato come competente viene qualificato come esclusivo, automaticamente arginando, per volontà tra le parti, la possibilità di individuare un diverso giudice competente in base ad un qualunque altro criterio di collegamento.

Ciascun contraente vorrebbe applicare al rapporto giuridico con il proprio partner straniero, sia la propria legge – quella a lui ben nota – sia attribuire la competenza in caso di controversie ai propri giudici nazionali. Tuttavia siccome per poter essere efficace la clausola del foro dovrà essere validamente stipulata tra le parti spesso si verificava che la controparte contrattuale straniera, che magari aveva accettato la clausola in ragione della diversa forza contrattuale delle parti, decideva lo stesso di agire presso un altro giudice (quello proprio) omettendo di menzionare l’esistenza di una clausola di scelta del foro. In questo modo la parte contrattuale che per prima ricorreva al giudice (criterio temporale) intanto bloccava la causa presso il giudice adito. Infatti in passato in base alla normativa europea (Art. 27 Reg. CE 44/2001) si prevedeva che: “Qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto ed il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende di ufficio il procedimento finchè sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza”. La logica perseguita dalla normativa europea e ben spiegata nei “considerando” del regolamento menzionato era quella di garantire “il funzionamento armonioso della giustizia” in modo che “si riduca al minimo la possibilità di pendenza di procedimenti paralleli e che vengano emesse, in due Stati membri, decisioni tra loro incompatibili”. Ora siccome nel corso del tempo si è dato luogo ad abusi di tale norma -proprio in particolare per paesi quali l’Italia, dove notoriamente il corso della giustizia civile è estremamente lento per cui parti contrattuale italiane adivano in primis i propri giudici “insabbiando” per così dire il procedimento – il legislatore comunitario è corso ai ripari. Ai sensi pertanto del nuovo Reg. Eu 1215/2012 ormai in vigore, si è introdotta una deroga a tale regola di prevenzione temporale, richiamando l’art. 31, paragrafo 2 dello stesso regolamento. In particolare si prevede ora che qualora l’autorità giurisdizionale di uno Stato membro al quale una clausola di competenza esclusiva del foro attribuisca i poteri di dirimere la controversia sia adita successivamente, questa non deve rimettere la causa all’autorità giurisdizionale precedente, ma sarà quest’ultima a dover sospendere il procedimento, operando così una deroga alla priorità temporale. Attenzione, tuttavia, che tale deroga cessa di essere operante in alcuni casi: 1) chiaramente quando ad essere adita per prima sia proprio l’autorità giurisdizionale cui è attribuita giurisdizione esclusiva da valida clausola o 2) quando le parti contrattuali hanno stipulato clausole di scelta esclusiva del foro confliggenti tra loro e 3) quando il giudice indicato della clausola di scelta esclusiva del foro accerti che tale clausola sia invalida o inefficace; in tutti tali casi ritornerà ad applicarsi il principio della prevenzione temporale. Sempre di più, quindi, assume rilevanza nella redazione di contratti internazionali prestare attenzione alle singole clausole scelte tra le parti.

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Il Tribunale unificato dei brevetti: una giurisdizione particolare

La materia brevettuale è oggetto di una legislazione complessa a livello europeo, caratterizzata da una pluralità di fonti che si intrisecano tra di loro con ambiti di applicazione diversi che porta gli operatori del diritto ad un estremo sforzo interpretativo che spesso rimane poco chiaro all’operatore economico.

Allo scopo di fornire una generale informazione si accenna che esiste un vero e proprio pacchetto di leggi che riguardano la materia brevettuale, tra cui i Regolamenti EU n. 1257/2012 sul brevetto ad effetto unitario e il Reg. 1260/2012 sul regime linguistico del brevetto; entrambi adottati in cooperazione rafforzata tra più paesi dell’Unione (con esclusione della Spagna e della Croazia) nonché l’accordo internazionale di Bruxelles del 19.01.2013 (non firmato da Spagna, Croazia e Polonia – entrato in vigore dal 01.01.2014) che ha istituito un organo giurisdizionale ad hoc per la materia: il Tribunale unificato dei brevetti. Tuttavia la disciplina che regola le procedure di funzionamento del Tribunale è ancora, per così dire, in formazione, infatti essa si trova nelle cd. Rules of Procedure più volte modificate e non ancora in assetto definitivo. L’unico Regolamento già entrato in vigore è il Regolamento num. 524/2014, che va ad incidere modificandolo un altro importante Regolamento europeo (n. 1257/2012 cd. Bruxelles I bis) concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Detto Regolamento del 2014 specifica la giurisdizione del Tribunale unico dei brevetti precisando che esso deve intendersi come “autorità giurisdizionale di uno stato membro” anche se si tratta di un giudice non nazionale ma comune a più stati membri dell’Unione. Vale a dire che il Tribunale unificato avrà giurisdizione tutte le volte in cui il giudice nazionale sarebbe stato competente per materia in base ai regolamenti europei sulla giurisdizione internazionale. Tale Tribunale quindi, è un’autorità giurisdizionale particolare dotata di una giurisdizione molto ampia determinata in ragione della materia brevettuale. In altri termini è sufficiente che una controversia in materia brevettuale abbia punti di contatto con uno dei paesi che hanno sottoscritto l’accordo istitutivo per poter determinare la competenza del Tribunale unificato a decidere sulla questione. A tal proposito rileva l’Art. 32 dell’accordo che precisa le materie in cui il Tribunale unificato ha competenza esclusiva, tra cui a titolo di esempio: le azioni per far valere violazioni o anche solo minaccia di violazione di brevetti, le azioni di accertamento relative all’inesistenza di violazione di brevetti, le azioni volte ad ottenere misure cautelari ed ingiunzioni in merito a brevetti, le azioni per il risarcimento danni e per gli indennizzi derivanti dalla protezione provvisoria accordata ad una domanda di brevetto europeo pubblicata, le azioni di revoca di brevetti ecc. Ai tribunali nazionali degli stati membri rimane la competenza (a carattere residuale) a conoscere delle azioni relative ai brevetti e ai certificati protettivi complementari che non rientrano nella competenza esclusiva del tribunale unificato. Quindi una competenza esclusiva e predominante rispetto ai tribunali nazionali, laddove però risulti il carattere di internazionalità della fattispecie come individuati nell’Art. 31 TUB e di richiamo nel regolamento Bruxelles I bis. Il Tribunale unificato avrà quindi un’ampia giurisdizione perché potrà essere invocato non solo quando convenuto sia un soggetto domiciliato in uno degli Stati dell’Unione, ma anche quando convenuto sia un soggetto domiciliato nell’Unione ma in uno stato non firmatario dell’accordo istitutivo (es. Spagna), laddove ricorrano gli altri criteri di collegamento identificati dal Regolamento Bruxelles I bis idonei a fondare la giurisdizione (es. foro contrattuale, foro dell’illecito ecc) e vincolanti anche gli stati non firmatari. Tale giurisdizione è talmente ampia che si estende anche al convenuto che non sia domiciliato in uno stato dell’Unione purchè sussistano criteri di collegamento sufficienti con uno degli stati aderenti all’accordo istitutivo.

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Opposizione a Decreto ingiuntivo europeo: Come si deve procedere?

In una recente sentenza del Tribunale di Taranto, sezione seconda, decreto del 15.9.2016, la Corte si è pronunciata nel senso che vada imposto al creditore ricorrente di riassumere ex art. 125 disp.  att.  c.p.c.  la domanda già proposta con ricorso monitorio europeo.

Il procedimento europeo di ingiunzione di pagamento introdotto con il Regolamento (CE) n. 1896/2006 è uno strumento attraverso il quale accelerare i tempi per l’ottenimento di un titolo laddove si tratti di decisioni in materia civile e commerciale nelle controversie in cui almeno una delle parti risieda in un paese dell’UE diverso da quello dove viene presentata la domanda d’ingiunzione. In caso di opposizione al decreto ingiuntivo europeo laddove la normativa di riferimento applicabile sia quella italiana, quali forme dovrà seguire il procedimento di opposizione? Il tribunale di Taranto in una recente sentenza si è pronunciata, offrendo una propria soluzione interpretativa. A   seguito   di   ingiunzione   di   pagamento europea   emessa   ai   sensi   del Regolamento (CE) n.  1896/2006, il debitore proponeva regolare opposizione nel rispetto delle forme e dei tempi dettati dalla normativa europea. A seguito della comunicazione in cancelleria dell’opposizione, la causa veniva iscritta a ruolo su istanza del difensore della opponente. Ai sensi del regolamento europeo per proporre opposizione è sufficiente manifestare la volontà di opporsi sulla base del modulo di opposizione che non contiene alcuna motivazione e lo si può fare anche di persona.

L’art. 17, par. 1, del regolamento europeo stabilisce che qualora l’opposizione sia presentata entro il termine stabilito dall’articolo 16, paragrafo 2 ed il ricorrente non abbia esplicitamente richiesto con il ricorso l’estinzione del procedimento, essa debba proseguire dinanzi ai  giudici competenti  dello  Stato  membro  d’origine  applicando  le  norme  di  procedura civile  ordinaria.  Il secondo comma stabilisce altresì che il passaggio al procedimento civile ordinario è disciplinato dalla legge dello Stato membro d’origine ovvero dello Stato che ha emesso l’ingiunzione di pagamento. Ai sensi dell’art 26 tutte le questioni procedurali non trattate specificamente dal regolamento europeo sono disciplinate dal diritto nazionale. Al fine di individuare la disciplina applicabile al caso di specie sono state prospettate diverse soluzioni. Una prima interpretazione vorrebbe consentire l’applicazione della disciplina relativa all’esecuzione provvisoria in pendenza di opposizione ex art. 648 c. p. c. A tal fine l’opponente dovrebbe proporre un’opposizione a decreto ingiuntivo, ma rispettando questa volta le forme ex art. 645 c. p. c. previste per il procedimento monitorio ordinario.

Il tribunale di Taranto esclude tale interpretazione, affermando che al fine dell’emanazione del decreto ingiuntivo europeo viene richiesta semplicemente l’indicazione dei mezzi di prova senza allegazione alcuna in ordine alla fondatezza della pretesa creditoria. L’opponente quindi, non avendo la possibilità di prendere cognizione delle prove poste a fondamento del credito ingiunto, non potrebbe costruire la sua difesa in maniera adeguata con l’opposizione ex art. 645 c. p. c. Viene respinta anche la possibilità di avvalersi dell’ordinanza del mutamento del rito ex art. 426 c. p. c. in quanto questa disposizione presupporrebbe la completezza della domanda attrice che nella fattispecie in esame non è tale. Per la stessa ragione viene esclusa l’applicazione dell’art. 616 c. p. c., in tema di prosecuzione dell’opposizione all’esecuzione proposta in forma sommaria davanti al giudice dell’esecuzione in giudizio a cognizione piena. La Corte ritiene quindi che nel caso di specie l’art. 125 disp. att. c. p. c., pur riguardando fattispecie diverse – come ad esempi il caso dell’interruzione della causa o della   declaratoria   di   incompetenza – debba trovare applicazione in via analogica. In altri termini si imporrebbe al creditore ricorrente di riassumere la domanda già proposta con il ricorso d’ ingiunzione europea senza quindi giungere a richiedere che l’opposto ponga in essere una citazione ex novo. Seguendo tale interpretazione la Corte intende garantire da una parte la piena parità d’armi (il diritto di difesa dell’opponente viene pienamente garantito) e, dall’altra, si potranno ricollegare gli effetti giuridici della domanda proprio al ricorso per decreto ingiuntivo europeo e non alla citazione ex novo.

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Anche sentenze contumaciali sono suscettibili di certificazione come titoli esecutivi europei e pertanto eseguibili direttamente nei paesi EU

La Corte di giustizia europea si è pronunciata di recente su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Bologna per chiarire in modo inequivocabile che una sentenza contumaciale può essere certificata come titolo esecutivo europeo ai sensi del Regolamento CE 85/2004 e come tale direttamente eseguita all’estero perché rientrante nelle ipotesi di “crediti non contestati” come qualificati all’interno del regolamento europeo. Ciò avviene anche qualora il diritto nazionale della pronuncia – come nel caso di specie il diritto italiano – non attribuisca alla condanna contumaciale valenza di non contestazione del credito.

La pregiudiziale era stata sollevata dal Tribunale di Bologna il quale, richiesto di rilasciare la certificazione di titolo esecutivo europeo su una sentenza di condanna resa in contumacia della controparte, si chiedeva se l’assenza dal processo della parte creditrice dovesse essere valutata alla stregua del diritto italiano (quindi denegando la valenza di mancata contestazione) o secondo il diritto europeo che la qualifica come situazione di non contestazione (semprechè siano state osservate tutte le garanzie sufficienti del rispetto del diritto di difesa – vedi anche “Nuovo Regolamento Europeo sulla competenza giurisdizionale, riconoscimento e esecuzione delle decisioni“). Nella sentenza C-511/14 – 16 giugno 2016 – Pebros Servizi srl c. Aston Martin –sulla corretta interpretazione del Reg. CE 805/2004 sul Titolo Esecutivo UE per crediti non contestati la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito, nella sua funzione di ente deputato all’applicazione uniforme del diritto europeo e garante del principio di eguaglianza tra gli Stati membri, che i “crediti non contestati” devono essere determinati in modo autonomo, sulla base di questo solo regolamento. Nello specifico ha ribadito – come da sua giurisprudenza costante – che tutte le volte in cui “i termini di una disposizione del diritto dell’Unione non contengano alcun espresso richiamo al diritto degli stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, devono essere oggetto nell’intera Unione Europea di un’interpretazione autonoma ed uniforme da effettuarsi secondo il contesto della disposizione e delle finalità perseguite dalla normativa in questione”. Il regolamento CE rinvia sì alle norme procedurali nazionali, ma solo in relazione alle modalità procedurali ed ai termini di cui può servirsi la parte debitrice per opporsi efficacemente al credito. Qualora queste modalità non siano state seguite o i termini siano inutilmente decorsi e purché siano osservate le garanzie minime del diritto alla difesa, la mancata partecipazione al giudizio di parte creditrice è da valutarsi come non contestazione. Nella pronuncia in oggetto, inoltre, appare rilevante anche un chiarimento interpretativo della Corte di giustizia europea sull’attività stessa di certificazione di una sentenza come titolo esecutivo compiuta dai Tribunali richiesti. Tale attività non è da considerarsi come “un procedimento puramente amministrativo o di volontaria giurisdizione” – così in obiezione il Governo italiano, bensì come un “esame giurisdizionale delle condizioni previste dal regolamento CE 805/2004 al fine di valutare se siano state osservate le norme minime volte a garantire il rispetto dei diritti di difesa del debitore”. Quindi è auspicabile che i giudici risultino sensibilizzati da tale pronuncia della Corte europea e valutino la richiesta di certificazione di titoli quali TEE come un’attività di seria certificazione delle decisioni giudiziarie che si vogliano far valere esecutivamente all’estero, garantendo il controllo della regolarità del procedimento giudiziario che ha condotto alla sentenza tramite verifica di tutti gli elementi elencati nell’Allegato I al regolamento CE idoneo per tale certificazione.

Lo studio A & R Avvocati Rechtsanwälte Vi supporta sia nella fase di richiesta presso i tribunali italiani di apposita certificazione di titolo esecutivo europeo per sentenze ottenute nei confronti di soggetti residenti in uno degli stati membri (in particolare in Germania) sia anche per la parallela attività di verifica di tali certificazioni ottenute in Germania nei Vostri confronti.

Competenze speciali previste dalla normativa europea

Segnaliamo una nuova sentenza della Corte di giustizia europea in tema di giurisdizione: C-12/15 – 16 giugno 2016 – Universal Music c. Michael Tetreault + altri – Articolo 5, punti 3, Reg. CE 44/2001 allo scopo di precisare alle società ed imprese che non sempre i tentativi di ancorare la giurisdizione alla propria sede sociale sono possibili o premino, ma spesso risultano forieri di ulteriori costi e di un prolungamento negli anni dei giudizi.

La Corte di giustizia europea si è pronunciata su richiesta della Corte Suprema dei Paesi Bassi in una causa promossa da una società con sede in Olanda, l’Universal Music International Holding BV contro tre avvocati, con sede in diversi stati, per un errore dovuto a negligenza compiuto da uno di essi nella Repubblica Ceca nella redazione di uno dei contratti atti a determinare l’acquisizione della casa discografica. Tale vendita doveva avvenire in due momenti (immediatamente si trasferiva il 70% delle azioni della società ed il 30% in un momento successivo). A seguito dell’errore commesso dagli avvocati cechi, che non trascrivevano correttamente le indicazioni dell’ufficio legale della holding, si produceva l’effetto che questa dovesse pagare un prezzo nettamente superiore a quello originariamente previsto (il prezzo era stato parametrato sulle azioni ed era 5 volte superiore a quello pattuito). Le parti deferivano la causa ad un collegio arbitrale ceco, come previsto nel contratto, ed arrivavano ad un lodo arbitrale. Nell’esecuzione dello stesso la Universal Music pagava l’importo transatto mediante versamento da un conto bancario tenuto nei Paesi Bassi di cui essa era titolare. Questa, quindi, ritenendo che il danno ad essa cagionato fosse dato dalla differenza tra quanto effettivamente pagato a titolo di transazione e quanto originariamente pattuito dalle parti (oltre le spese arbitrali) riteneva di aver subito il danno patrimoniale presso la propria sede, per essere stato effettuato il versamento della somma transatta da un conto olandese e da una società olandese. Quindi agiva contro gli avvocati coinvolti, seppure di residenze diverse, presso la corte olandese della propria sede. I giudici olandesi aditi rigettavano l’azione sollevando il loro difetto di giurisdizione e pertanto si arrivava alla Corte Suprema olandese che chiedeva l’intervento ermeneutico della Corte di giustizia europea. Questa ha colto l’occasione per ribadire la centralità del principio del foro generale del convenuto e quindi il carattere alternativo e speciale dei fori indicati all’Art. 5 del Reg. 44/2001. Conseguenza ne è che” poiché la competenza dei giudici del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto è regola di competenza speciale, questa deve essere interpretata in maniera autonoma e restrittiva, il che non consente un’interpretazione che ecceda le ipotesi previste in modo esplicito dal Regolamento”. La scelta operata dal legislatore europeo di ancorare la giurisdizione in tema di illecito civile al luogo in cui si è verificato l’evento dannoso non è casuale ma risponde all’esigenza di economia processuale di facilitare l’assunzione delle prove e mantenere la vicinanza al luogo della controversia, quindi ancora una volta sono questi i criteri guida per la determinazione della corretta competenza. La Corte Europea ha ritenuto in questo caso che il “luogo in cui l’evento dannoso è sorto” sia sia quello in cui ha avuto luogo il fatto generatore del danno (la negligente redazione del contratto di vendita avvenuto nella Repubblica Ceca) sia il luogo di realizzazione del danno (il procedimento arbitrale ed il corrispondente lodo che cristallizzavano l’obbligo di pagamento avvenivano nella Repubblica Ceca) pertanto il maggiore collegamento con la controversia era quello con la Repubblica Ceca e non con l’Olanda. La sola circostanza del bonifico bancario avvenuto da conto olandese non è di per sé in grado di fondare la giurisdizione olandese e non corrisponde ai principi enunciati di prossimità alla controversia. Pertanto nuovamente si attira l’attenzione dei nostri Clienti sulle problematiche del forum shopping e sulle conseguenze che ne possano derivare se non si valutano attentamente a priori i pro e i contra al momento della promozione di una causa.

Lo Studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste nella valutazione a monte su quali siano i giudici competenti a livello internazionale a dirimere controversie con i Vostri Partner commerciali stranieri e Vi guida già nella costituzione dei rapporti contrattuali alla individuazione delle corrette clausole ad hoc che possano al meglio tutelarVi.

 

Precisazioni della Corte di Giustizia Europea sulla clausola di attributiva di competenza prevista in condizioni generali di contratto

Segnaliamo una nuova sentenza della Corte di giustizia europea (Sentenza: C-366/13 – 20 aprile 2016 – Profit Investment Sim spa c. Stefano Ossi + altri – Regolamento CE n. 44/2001) in un tema particolarmente delicato e di fondamentale importanza nei rapporti giuridici transfrontalieri: la clausola di deroga della competenza. Questa viene spesso prevista nelle condizioni generali di contratto di un contraente (solitamente quello più forte) al fine di predeterminare il giudice deputato a risolvere eventuali controversie (vedi anche – “Competenze speciali previste dalla normativa europea“). Prevedere una simile clausola nelle condizioni generali di per sé non è sufficiente a rendere la stessa vincolante, in particolare in caso di mutamenti di circostanze ed in assenza di ulteriori comportamenti della parte che intende prevederla.

La Corte di giustizia europea si è pronunciata nella seguente causa: una società di intermediazione mobiliare italiana agiva contro una banca d’affari tedesca che aveva lanciato sul mercato un programma di emissione di titoli obbligazionari indicizzati ad alto rischio. Nel prospetto di emissione dei titoli si prevedeva una clausola di deroga della competenza che indicava come giudice competente a dirimere le controversie, in via esclusiva, quello inglese. La società italiana aveva sottoscritto il prestito (cd. “mercato primario”) attraverso una società di intermediazione finanziaria inglese che a sua volta cedeva i titoli sul mercato secondario. A causa del mancato pagamento della quota degli interessi maturati, la società italiana era messa in liquidazione e avviava un’azione dinanzi al giudice italiano. La banca d’affari tedesca contestava la giurisdizione dei tribunali italiani perché nella clausola attributiva di competenza contenuta nel prospetto erano indicati i tribunali inglesi. Veniva pertanto effettuato regolamento di giurisdizione presso la Cassazione italiana che, a sua volta si rivolgeva ai giudici europei per la soluzione interpretativa e dirimente di diversi quesiti tra cui quello relativo alla validità di una clausola attributiva di competenza (ex Art. 23 Reg. CE 44/2001) prevista in un „prospetto“ predisposto unilateralmente da una parte sotto il profilo del requisito della forma scritta richiesta dal Regolamento comunitario ed in particolare della validità e vincolatività di tale clausola in caso di circolazione transfrontaliera. In altri termini, può una simile clausola (prevista originariamente nel contratto tra emittente di un titolo e sottoscrittore dello stesso = mercato primario) essere opposta ad un terzo (che ha acquistato detto titolo da tale sottoscrittore = mercato secondario)?

La Corte Ue ha ribadito l’ordine di priorità tra le disposizioni sulla giurisdizione e competenza, sottolineando il carattere centrale del principio di competenza del giudice del domicilio del convenuto. Scopo di tale previsione regolamentare è proprio quello di garantire un alto grado di prevedibilità del giudice atto a dirimere le controversie tra gli operatori del mercato. A completamento di tale normativa sul foro generale sono previsti i cd. “fori alternativi speciali” basati sullo stretto collegamento tra controversia e giudice dirimente (es: in caso di vendita, il giudice del luogo di consegna dei beni venduti; in caso di prestazione di servizi, il giudice del luogo di esecuzione della prestazione). In via eccezionale va inquadrata la norma che prevede nel Regolamento EU la proroga di tale competenza basata sulla volontà delle parti in tal senso. La Corte EU – ribadendo sua giurisprudenza precedente – tende a precisare che tale proroga è valida se corrisponde al consenso effettivo degli interessati e se è stata pertanto richiamata espressamente tra le parti nella stipulazione del contratto ad hoc. Tale valutazione spetta al giudice nazionale adito. Nel caso concreto il giudice dovrà valutare se la clausola di proroga del foro, contenuta nel prospetto redatto dall’emittente del titolo, sia poi ripresa negli altri documenti contrattuali; se ciò non avviene la proroga di competenza non può produrre effetti. Incomberà inoltre sempre al giudice del rinvio la valutazione della validità della clausola anche in caso di trasferimento del rapporto giuridico: pertanto secondo la Corte EU, per poter dare validità ad una simile clausola e riconoscere la giurisdizione esclusiva al giudice ivi designato, occorre prima di tutto verificare che tale clausola sia valida nel rapporto primario tra le parti originarie, e poi verificare che il soggetto che sia subentrato nei rapporti giuridici (cd. mercato secondario) sia subentrata in tutti i diritti e obblighi discendenti in base al diritto nazionale applicabile ed abbia avuto la possibilità effettiva di conoscere tale clausola. In altri termini va valutata di volta in volta l’accessibilità del documento originario: se la società che ha sottoscritto i titoli sul mercato secondario conosceva il prospetto e, quindi, la clausola era facilmente accessibile, l’attribuzione di competenza iniziale conserva valore. L’effettiva conoscibilità della clausola viene valutata dalla Corte di giustizia europea tenendo conto anche degli usi commerciali nel settore.

Ancora una volta si evidenzia la difficoltà per gli operatori del mercato di valutare la portata delle proprie condizioni generali di contratto in particolare nei rapporti internazionali, lo studio legale A & R Avvocati Rechtsanwälte Vi assiste nella stipulazione di appropriate condizioni generali per il mercato estero e Vi guida nella indicazione dei criteri rilevanti per dare vincolatività alle stesse nei singoli rapporti commerciali.

La prescrizione nel diritto italiano

Argomento sempre attuale ed importante per le aziende è la prescrizione delle proprie pretese nell’ambito civile onde evitare la perdita di un diritto per il suo prolungato mancato esercizio nel tempo. Tale tema assume ruolo centrale nei casi di rapporti giuridici con partner di altri stati che prevedano diverse regole di prescrizione, ivi occorre valutare a monte la legge applicabile al rapporto commerciale di base.

Le norme sulla prescrizione nel diritto italiano, per esempio, hanno carattere d’inderogabilità. A differenza del diritto tedesco che consente alle parti la possibilità di ridurre o prolungare convenzionalmente i termini di durata della prescrizione, nel diritto italiano i termini prescrizionali previsti dalla legge sono inderogabili dalle parti pena la nullitá degli eventuali accordi in tal senso.Tuttavia qualora una tale clausola sia prevista in accordi con un partner commerciale tedesco occorre precisare che la norma del codice civile che prevede tale inderogabilità non viene considerata di “ordine pubblico”, in ragione del fatto che il giudice non può rilevare d’ufficio la prescrizione (ma questa deve unicamente essere opposta dalla parte che se ne voglia avvalere) nonché anche per la possibilità che viene riconosciuta alle parti di rinunziare alla prescrizione. Pertanto – qualora il giudice italiano sia chiamato a valutare la validità di accordi sui termini di durata della prescrizione, laddove ad essi sia applicabile la legge tedesca (lex causa), dovrá concludere per la validità degli stessi.

Termini di prescrizione

Il periodo di tempo in cui si prescrivono i diritti varia nel diritto italiano a seconda delle diverse fattispecie che si vanno a considerare. Il termine a partire dal quale decorrono i termini di prescrizione è sempre il giorno in cui il diritto in oggetto può essere fatto valere. Laddove la legge nulla preveda in modo specifico, si applica la prescrizione ordinaria a carattere decennale (10 anni). Questa costituisce la regola. Le prescrizioni più brevi o più lunghe rappresentano delle eccezioni. Tra le eccezioni al periodo di prescrizione ordinaria previste dalla legge vi sono i diritti reali su cosa altrui, che si prescrivono in 20 anni, e determinate categorie di diritti per cui è previsto un termine prescrizionale breve (5 anni). Quest’ultimo tipo di prescrizioni possono essere a carattere estintivo o solo presuntivo. Appartengono alle prescrizioni brevi a carattere estintivo, per esempio, il diritto al risarcimento da fatto illecito (5 anni) o il diritto al risarcimento del danno da circolazione di veicolo di ogni specie (2 anni). Si prescrivono in 5 anni anche i diritti al pagamento dei canoni di affitto e ogni altro corrispettivo di locazione ed il diritto al pagamento degli interessi. Nell’ambito societario, si prescrivono in 5 anni tutti i diritti che derivano dai rapporti sociali (se la società è iscritta nel registro delle imprese) e l’azione di responsabilità da parte dei creditori sociali nei confronti degli amministratori.

Prescrizioni brevi

Nei contratti di trasporto di persone o di spedizione di merce, i diritti che ne derivano si prescrivono in 1 anno a partire dall’arrivo a destinazione della persona trasportata o dal giorno in cui avrebbe dovuto aver luogo la consegna della cosa spedita.

Tra le prescrizioni presuntive si ha, per esempio, il pagamento dovuto agli albergatori o agli esercenti un ristorante (6 mesi), la retribuzione dovuta agli insegnanti per lezioni impartite (1 anno), il pagamento della prestazione ed il rimborso spese dovuto ai professionisti (3 anni): tutti crediti che normalmente si estinguono in brevissimo tempo. La prescrizione presuntiva opera – in questo caso – in campo processuale.

La decorrenza del tempo non determina l’automatica estinzione del debito, ma fa sorgere a favore del debitore una presunzione di pagamento. Tale presunzione può essere vinta da parte del creditore con prova contraria, deferendo il giuramento decisorio o avvalendosi di una qualsiasi ammissione di mancato pagamento da parte del debitore. Chi eccepisce una prescrizione ordinaria deve processualmente dimostrare i fatti su cui si base la prescrizione, nel caso di prescrizione presuntiva – invece – non ricorre tale onere probatorio, ma il debito si presume per legge estinto.

Nuovo Regolamento Europeo sulla competenza giurisdizionale, riconoscimento e esecuzione delle decisioni

Regolamento Europeo 44/2001 volto a disciplinare nell´ambito dell’Unione Europea la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale verrà sostituito a partire dal 10 gennaio 2015 dal Regolamento (UE) 1215/2012.

Il nuovo Regolamento introduce delle novità normative relativamente al riconoscimento ed esecuzione delle sentenze emesse dall´Autorità giudiziaria nonché relativamente alla listispendenza e connessione delle cause. La novità di maggiore impatto è l’abolizione delle procedure necessarie affinché la decisione giudiziale, resa dall’Autorità giudiziaria di uno Stato membro (ad es. Italia), venga riconosciuta e diventi esecutiva in un altro Stato membro (ad. Germania). L´art. 39 del nuovo Regolamento prevede che “la decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività”. Quindi non sarà più necessario richiedere alcuna dichiarazione di esecutorietà richiesta dalla legislazione in vigore (Regolamento 44/2001) e si assisterà ad una vera e propria equiparazione delle decisioni giudiziali rese dalle Autorità giudiziarie degli Stati membri dell’UE alle decisioni rese da organi giurisdizionali interni. Ad es. l´imprenditore italiano che vorrà eseguire la decisione emessa dall´Autorità giudiziaria italiana in Germania dovrà semplicemente notificare alla controparte tedesca una copia del provvedimento ottenuto unitamente all’attestato (debitamente tradotto in lingua tedesca) rilasciato dal giudice italiano, su mera istanza dell’interessato.

Le nuove regole si applicano anche agli atti pubblici e alle transazioni giudiziarie, aventi efficacia esecutiva nello Stato membro d’origine che potranno essere eseguiti in un altro Stato membro senza necessità di ricorrere ad ulteriori adempimenti.
Per procedere all´esecuzione dei suddetti titoli occorrerà ottenere dall´Autorità competente nella Stato membro di origine un attestato (sulla base del modulo di cui all´allegato II del nuovo Regolamento) contenente una sintesi dell’obbligazione esecutiva registrata nell’atto pubblico o una sintesi di quanto concordato tra le parti e registrato nella transazione giudiziaria.

Per quanto concerne la competenza giurisdizionale in materia di contratti di vendita e prestazione di servizi non vengono previste particolari modifiche. Rimane vigente la regola generale secondo cui la competenza spetta al giudice dello Stato membro in cui il convenuto ha il proprio domicilio oppure, se persona giuridica, la propria sede ovvero alternativamente al giudice del luogo in cui l´obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita.

La definizione del luogo di esecuzione dell´obbligazione dedotta in giudizio non subisce sostanziali modifiche:

  • nei contratti di vendita è individuato nel“ luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto” (art. 7.1, lett. (b), primo trattino, Regolamento (UE) 1215/2012);
  • nei contratti di prestazione di servizi è “il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto” (art. 7.1, lett. (b), secondo trattino, Regolamento (UE) 1215/2012).

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