Trasferimento della sede legale all’estero: quale giudice è competente per la dichiarazione di fallimento?

Con la sentenza nr. 7470 del 23 marzo 2017 la prima sezione della Corte di Cassazione conferma un principio già affermato dalla Corte di giustizia europea ovvero che per determinare la competenza del giudice ad aprire il fallimento si deve analizzare in quale luogo si trovi effettivamente il COMI (Center of main interest) essendo il luogo della sede statutaria, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento CE n. 1346/2000, solo presuntivamente e salvo prova contraria il centro degli interessi principali della società.

Nel caso di specie la società, con sede legale nel circondario di competenza del Tribunale fallimentare di Napoli, dopo il manifestarsi della crisi di impresa ed al fine di frodare i creditori, trasferisce la sua sede legale a Londra. La società dichiarata fallita impugna la sentenza del Tribunale di Napoli affermando il difetto di giurisdizione del giudice italiano e la conseguente nullità della sentenza impugnata motivando che fino a prova contraria il centro degli interessi principali del debitore coincide con la sede statutaria che al momento dell’apertura del fallimento si trovava a Londra.

La Corte di appello respinge il reclamo confermando la giurisdizione del giudice italiano posto che la s.r.l. fallita aveva deliberato il trasferimento della sede all’estero quando il suo stato d’insolvenza era del tutto palese, non aveva dedotto o dimostrato le ragioni di natura imprenditoriale sottese alla modifica né era stato dimostrato lo svolgimento di un’effettiva attività produttiva a Londra. Il trasferimento ha avuto pertanto natura fraudolenta e fittizia.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la società.

La Cassazione respinge il ricorso motivando come segue:

La Corte di giustizia (20 ottobre 2011, procedimento C – 396/09, Interedil; p.p. 56 e 57) ha precisato che “nel caso (…) di un trasferimento della sede statutaria prima della proposizione di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza, è pertanto presso la nuova sede statutaria che, in conformità all’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento, si presume si trovi il centro degli interessi principali del debitore. Sono, di conseguenza, i giudici dello Stato membro nel cui territorio si trova la nuova sede che, in linea di principio, divengono competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale, a meno che la presunzione introdotta dall’art. 3, n. 1, del regolamento non sia superata dalla prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede statutaria“.

D’altra parte la Corte di Giustizia aveva già con la nota sentenza  Eurofood affermato che: “per determinare il centro degli interessi principali di una società debitrice, la presunzione semplice prevista dal legislatore comunitario a favore della sede statutaria di tale società può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione nella detta sede statutaria”

Le sezioni Unite della Cassazione (S.U. 11398 del 2009) hanno sulla base dei principi indicati dalla Corte Europea affermato che: “un indicatore della non coincidenza della sede legale con quella effettiva può cogliersi quando il trasferimento all’estero della sede legale dopo il manifestarsi della crisi d’impresa, non è sostenuto dalla prosecuzione della medesima attività d’impresa svolta in Italia, né sia stato spostato presso di essa il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa, bensì determini una discontinuità, o dovuta all’inesistenza di qualsiasi attività o all’impostazione di un’attività (fittizia o reale) non riconducibile a quella preesistente” (S.U. 11398 del 2009)  ed inoltre che “è necessario valutare rigorosamente se al trasferimento di sede sia seguito concretamente il trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale, così da non risolversi in un atto meramente formale” (S.U. 3059 del 2016).

La Cassazione dunque rileva che la Corte di Appello ha svolto l’accertamento richiesto in sede di verifica della giurisdizione italiana valutando i seguenti indicatori: la reperibilità della società; l’iscrizione nel registro delle imprese inglese; la nomina dell’amministratore; lo svolgimento di un’attività d’impresa rilevandone il carattere meramente “formale” e non rappresentante della effettiva realtà dell’impresa, sottolineando che l’iscrizione nel registro delle imprese era sub judice; che gli amministratori esteri che si erano avvicendati erano comuni ad un numero molto elevato di altre società, ubicate nella stessa sede legale, che questi peculiari elementi fattuali ponevano in rilievo l’esclusivo carattere fittizio delle nomine in questione; che l’attività d’impresa svolta era in netta discontinuità sia rispetto alla qualità ed all’oggetto di quella preesistente, sia rispetto all’entità del giro d’affari.

Nel respingere il ricorso, la Suprema Corte afferma il principio della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano per la dichiarazione di fallimento della società, laddove risulti che il trasferimento della sede legale sia stata meramente fittizio e avvenuto quando lo stato di insolvenza era già palese, con superamento della presunzione relativa alla coincidenza della sede legale con quella reale.