Le vendite internazionali e la competenza dei giudici

Segnaliamo una nuova sentenza della Corte di Cassazione italiana (num. 11381 del 2016) su un’importante tema di particolare interesse per le aziende italiane che vendano i propri prodotti all’estero, in particolare nei paesi dell’Unione europea: come determinare la competenza dei giudici in caso di violazioni del contratto di vendita; presso quale autorità si possono fare valere le proprie pretese ed in quali circostanze.

Nel caso piuttosto diffuso nella pratica commerciale di vendita di prodotti all’estero senza uno specifico accordo contrattuale tra le parti, possono sorgere problemi non di poco conto quando l’unica disciplina del rapporto vada dedotta dagli scritti che le parti si sono scambiati (ordine della merce, conferma d’ordine) o dell’eventuale frammentaria e non giuridica corrispondenza tra le stesse. In particolare i nodi arrivano al pettine quando la propria controparte non adempie la sua prestazione (nel caso classico) di pagamento della merce acquistata e quindi, per far valere il proprio diritto, il venditore intende rivolgersi al giudice. Nei casi di vendita internazionale, infatti, si sovrappongono – in assenza di specifica disciplina contrattuale tra le parti – una serie di norme legislative di diverso grado ed ambito operativo, quali per esempio la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili e la normativa regolamentare europea (Reg. Ce 44/2001 sostituito dal Regolamento UE 1215/2012 in vigore dal gennaio 2015). Proprio nella sentenza de qua la Corte di Cassazione ha fornito un fondamentale strumento di interpretazione per gli operatori del diritto e di riflesso per gli operatori commerciali, in termine di sovrapposizione di fonti, specificando la prevalenza della normativa comunitaria in ragione del fatto che questa sia volta a disciplinare il conflitto di norme degli ordinamenti nazionali (in altri termini si tratta di una norma di conflitto, internazionalprivatistica) mentre la Convenzione di Vienna “ introduce una disciplina uniforme, una normativa a carattere sostanziale direttamente applicabile ai contratti che rientrano nel suo campo applicativo” – per dirla con la Corte. Pertanto nella questione di cui la sentenza si occupa: l’identificazione del giudice competente in caso di controversie, qualora le parti non abbiano stipulato un’apposita clausola di scelta del foro; il criterio per individuare il giudice competente è da individuarsi nei regolamenti europei. Questi prevedono la possibilità di convenire una persona domiciliata in uno stato membro  o una società con sede in uno stato membro  in un altro stato diverso “se ivi è situato il luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto”. Il criterio del luogo di consegna dei beni viene individuato come quello più consono nel contratto di compravendita perché “l’obiettivo fondamentale del contratto di compravendita di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore all’acquirente, operazione che si conclude soltanto quando detti beni giungono alla loro destinazione finale”. Inoltre tale criterio è solitamente ben noto,  prevedibile e conoscibile tra le parti e quindi soddisfa l’esigenza primaria della normativa europea di semplificazione, uniformità e prevedibilità dei criteri. Alla luce di queste considerazioni va rilevato che occorre un’estrema cautela nel momento in cui si decide di esportare le proprie merci all’estero ed in particolare occorre una regolamentazione chiara ed inequivoca tra le parti, che sia in grado di tenere anche in fase giudiziale a titolo probatorio come accordo bilaterale su cui le parti hanno raggiunto un consenso.

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