La disciplina patriarcale del cognome in Italia
Forse non tutti sanno che di recente si è registrata in Italia un’apertura nei confronti della possibilità di attribuire ad un figlio alla nascita anche il cognome materno. La regola del patronimico imposto per legge, cioè del cognome paterno da attribuire al figlio alla nascita era invero una norma “radicata nel costume sociale” e considerata così ovvia e scontata da non essere prevista come tale nel codice civile italiano. In tale codice esistono sì norme di riferimento per l’acquisizione del cognome paterno per i figli naturali e per quelli adottivi ma non per i legittimi, essendo questo considerato così collegato “all’unità della famiglia” da non essere necessario prevederlo espressamente nel codice. Ora tale automatismo sicuramente contrasta con i principi costituzionali di eguaglianza fra i coniugi, ma si giustificava con l’altrettanto principio rilevante della tutela dei segni distintivi ed identificativi di una persona.
In assenza di una legge di riforma della disciplina del cognome nonostante diverse iniziative legislative, è stata la Corte Costituzionale a spingere nel senso del rinnovamento. Di recente, infatti, la Corte Costituzionale italiana (con sentenza num. 286 del 2016) si è pronunciata sull’automatica attribuzione del cognome paterno aprendo una breccia in questo caposaldo sociale e ritenendo illegittima la norma “ nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita anche il cognome materno”. L’aspetto rilevante è qui dato, da un lato dal “comune accordo dei genitori” e dall’altro “dall’aggiunta del cognome materno a quello paterno”. Infatti qualora entrambi i genitori vogliano affiancare al patronimico anche il cognome materno, tale richiesta non può essere respinta perché rispetta sia “il principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” sia “il diritto all’identità personale del figlio ad essere identificato sin dalla nascita attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori”. In tal modo la Corte si è allineata con quello che di fatto già avveniva da tempo nella prassi amministrativa sulle richieste di modifica del cognome. Diverse circolari del Ministero dell’interno avevano infatti, già da una precedente sentenza della Corte costituzionale del 2006, cominciato a guardare con favore – nel senso del loro accoglimento – alle richieste di affiancamento del cognome materno a quello paterno per i figli. Tali richieste, infatti, risultavano meno problematiche delle altre, volte all’attribuzione del solo cognome materno al posto di quello paterno. La ratio sta nel fatto che mentre nelle prime richieste di aggiunta del cognome materno a quello paterno si introduca “un ulteriore elemento identificativo”, nelle altre – volte alla sostituzione del cognome paterno con quello materno – “si giunge all’eliminazione di un segno distintivo” per cui in tal caso occorre maggiore cautela. Tuttavia a favore anche di queste ultime richieste si annoverano le osservazioni del Consiglio di Stato (Parere 17.03.2004 num. 515) che guarda positivamente ad un accoglimento anche di queste ultime, qualora ci sia la volontà concorde di entrambi i coniugi, sulla base della considerazione che “la pubblica amministrazione non può sostituirsi alla concorde volontà dei genitori”. In sintesi la nuova sentenza della Corte costituzionale ha scalfito la regola dell’automatismo del cognome paterno da attribuirsi ai figli, come retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e contraria ai principi di eguaglianza sanciti in Costituzione, ma ciò solo a fronte di una diversa volontà di entrambi i genitori – concordi tra loro – nella scelta del doppio cognome (quello materno in aggiunta a quello paterno). La Corte però non ha mancato di precisare che, in realtà di più non può fare considerando che l’unico reale potere è nelle mani del legislativo che è il solo legittimato ad adottare le possibili scelte alternative al patronimico. Nelle more di un intervento legislativo, quindi, il cognome del padre risulta ancora la regola applicabile laddove manchi una concorde volontà derogatoria dei genitori a favore di un doppio cognome.