Mediazione obbligatoria: il consumatore non deve essere obbligatoriamente assistito da un avvocato e deve essere libero di ritirarsi dalla procedura senza alcun vincolo
Con la sentenza del 14 giugno 2017 (Causa 75-16) la Corte di Giustizia UE si pronuncia nel senso che la nostra normativa nazionale non possa imporre al consumatore, parte di una procedura risoluzione alternativa delle controversie (ADR), di essere assistito obbligatoriamente da un avvocato.
Il Tribunale di Verona rivolgeva alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e della direttiva 2008/52/CE relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale. In particolare il giudice del rinvio poneva all’attenzione della Corte i seguenti quesiti ovvero
- la legittimità del ricorso obbligatorio a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1 della Direttiva 2013/11, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie;
- l’assistenza obbligatoria dei consumatori nell’ambito di un tale procedimento di mediazione da parte di un avvocato;
- la legittimità della presenza di un giustificato motivo per i consumatori al fine di sottrarsi a un previo ricorso alla mediazione;
Il Tribunale di Verona richiedeva l’analisi di tali quesiti al fine della valutazione da parte della Corte della eventuale violazione della normativa nazionale ai dettami della direttiva 2013/11.
Tale questione è stata proposta nell’ambito di una controversia che contrapponeva due privati ad un Istituto di credito nella controversia avente ad oggetto il regolamento del saldo debitore di un conto corrente di cui i privati erano titolari. La Corte osserva in base alla direttiva 2008/52 che “La mediazione di cui alla presente direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento” e che “l’articolo 3, lettera a), della medesima direttiva definisce la nozione di «mediazione» come un procedimento strutturato, […] dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro”.
La Corte prendendo in esame la Direttiva 2013/11, osserva che al considerando 16 prevede nel suo ambito di applicazione i reclami presentati dai consumatori nei confronti dei professionisti e che tale direttiva dispone ai sensi dell’art. 6 che le parti siano informate del fatto che non sono obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale e del diritto di potersi ritirare dalla procedura in qualsiasi momento se non sono soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della procedura.
A seguito di un esame della normativa nazionale italiana in materia di mediazione, la Corte si pronuncia nel senso che:
- la direttiva 2013/11 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario;
- la medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.