La doppia imposizione internazionale dei redditi: fino a che punto può considerarsi legittima?

La mobilità di persone e capitali è un fenomeno che se pur da sempre ha caratterizzato il percorso storico evolutivo dell’uomo, nell’ultimo secolo ha conosciuto un incremento esponenziale, soprattutto grazie all’apertura delle frontiere tra i paesi membri dell’Unione Europea.

Le relazioni economiche tra diversi Stati, pur se utili per accrescere il benessere dell’intera collettività e garantire una maggior efficienza del mercato concorrenziale, hanno d’altro canto ingenerato questioni di non facile e pronta risoluzione, soprattutto legate a conflitti in materia di potestà impositiva fiscale. Sul punto, pare opportuno chiedersi cosa si intende per “doppia imposizione fiscale” e soprattutto quali sono i rimedi per impedire che uno stesso reddito possa essere tassato più volte da diversi Stati. Una simile situazione si genera solitamente quando si è in presenza delle pretese avanzate da parte di diversi Stati circa una medesima fattispecie imponibile, a causa della convergenza dei diversi criteri coinvolti per la determinazione dell’imposizione fiscale stessa: il criterio reale, relativo alla tipologia di reddito, quello territoriale e quindi connesso al luogo di produzione del reddito stesso, nonché quello personale, in forza del quale un reddito è tassato in capo alla persona residente in quel dato Stato, a prescindere da dove sia stato prodotto.

Si prenda ad esempio il reddito da lavoro dipendente, questo, stante la normativa vigente, dovrebbe essere tassato sia nel paese di residenza del dichiarante che nel Paese di produzione del reddito. Una tale conseguenza appare di per sé non solo iniqua, ma altresì controproducente e non in linea con un mercato del lavoro sempre più flessibile e delocalizzato. Il fenomeno della doppia imposizione fiscale poi, investe moltissimi altri settori, come ad esempio i dividendi, gli interessi, i redditi da stabile organizzazione, i redditi da lavoro autonomo, le royality, e molti altri ancora, tanto da rappresentare un concreto e serio rischio quotidiano per tutti gli operatori nel mercato internazionale.

Al fine di evitare le nefaste conseguenze che un’applicazione rigida della normativa fiscale potrebbe produrre, a livello internazionale gli Stati hanno cercato di fornire un primo rimedio attraverso le c.d Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra diversi paesi sia all’interno della zona UE che extra UE. In linea di massima, tali convenzioni prevedono una serie di disposizioni volte ad evitare che un dato reddito venga sottoposto a duplice tassazione, anche se queste non sono del tutto idonee a ricoprire l’ampia e svariata gamma di casistiche in cui un fenomeno del genere si può verificare. E non solo. Anche ove presenti convenzioni ad hoc, molto spesso sorgono conflitti circa l’interpretazione della medesima norma convenzionale da parte delle diverse amministrazioni finanziarie, senza tralasciare la circostanza per cui le Corti dei singoli stati spesso forniscono letture contrastanti tra di loro del medesimo fenomeno giuridico.

In simili ipotesi, infatti, lungi dal rappresentare le Convenzioni internazionali uno strumento di ausilio, le stesse rischiano di costituire di per sé un vero e proprio ulteriore ostacolo, per superare il quale si richiede una preparazione che vada ben oltre la sola capacità di conoscenza del proprio diritto nazionale, ma che comprenda anche una visione d’insieme dell’apparato burocratico amministrativo, nonché ordinamentale dell’altro Stato coinvolto. Infatti, solo attraverso un’equiparazione tra i differenti ordinamenti, la conoscenza approfondita di un eventuale convenzione internazionale siglata tra gli stessi, nonché dei sistemi coinvolti, sia nazionale che straniero, si può giungere ad una disamina quanto più precisa della situazione così da evitare di veder tassato il proprio medesimo reddito in due diversi Stati, senza nulla poter opporre.

Ed invero, proprio la dimestichezza e la capacità di sapersi muovere in diversi sistemi ordinamentali molto spesso rappresenta la chiave per evitare fenomeni di doppia imposizione, anche e soprattutto quando è del tutto assente una specifica convenzione internazionale. A titolo di esempio, attesa anche l’esperienza maturata dal nostro Studio nel settore, si può rappresentare lo scenario molto comune di apertura di successione ereditaria di soggetto residente in Italia, con beni in Italia e proprietario di uno o più immobili in Germania. In tale ipotesi, ai sensi della normativa applicabile, considerato che non esiste nessuna Convenzione sul punto, la tassa di successione dovrebbe imporsi sui beni in Italia, ai sensi della normativa nazionale, in forza sia del criterio della residenza che quelli territoriale e reali. Per quanto concerne il profilo tedesco poi, la legislazione tedesca prevede che la tassa di successione debba essere calcolata sull’integrità del patrimonio riferibile al decuius, anche quello sito all’estero, se questi risultava residente (Wohnsitz) in Germania, sempre ai sensi della normativa di riferimento.

Quest’ultima previsione può di per sé legittimare una doppia imposizione fiscale, atteso che Il concetto di residenza è di per sé molto ampio e la Giurisprudenza teutonica ha nel tempo teso ad estenderlo sino a ricomprendervi l’ipotesi in cui ci si recasse nell’immobile sito in Germania anche solo due volte l’anno. Una simile situazione potrebbe così comportare il rischio per gli eredi di veder tassati i medesimi beni, sia in Italia che in Germania, secondo anche parametri impositivi molto diversi tra loro, con oneri insostenibili da affrontare.

E dunque, cosa fare? Come detto, infatti, non vi è nessun rimedio convenzionale a cui ricorrere che apporti ufficialmente un correttivo a tale distorsione del sistema. Proprio in casi del genere, si rivela decisiva l’approfondita conoscenza del diritto interno soprattutto tedesco, che a determinate condizioni consente di evitare il fenomeno impositivo soprattutto sulla scorta dell’interpretazione giurisprudenziale del concetto di “Wohnsitz.”

In sostanza, la carta vincente rimane sempre costituita una consulenza attenta, dedicata ed esperta, come quella che il nostro studio offre ogni giorno a coloro che decidono di rivolgersi al nostro gruppo di professionisti.

Avv. Valentina Preta